Quando firmò l’accordo con Pechino, l’allora premier Giuseppe Conte non mostrò incertezze: «La Via della Seta è un’intesa limpida. L’obiettivo è crescere, non sarà un cavallo di Troia». Era il 2019, la storia ci mise poco a smentirlo. La Belt and Road Initiative era l’ambizioso programma con cui il governo cinese dichiarava di voler investire mille miliardi di dollari nelle infrastrutture in Africa, Asia, Europa. A distanza di pochi anni, si è rivelato uno straordinario strumento di controllo geopolitico. E di ricatto finanziario.
A raccontarlo è il Lowy Institute. Nel report appena pubblicato, il think tank spiega come, nel 2025, 75 paesi in via di sviluppo sono alle prese con un volume di rimborsi del debito e di interessi passivi senza precedenti: 22 miliardi di dollari che la Cina esige per i prestiti erogati a partire dal 2010, quando la Belt and Road entrò nel pieno dell’operatività. Alla base del meccanismo c’è una “mutazione” del ruolo cinese: «Pechino è passata da fornitore di capitali a soggetto che assorbe finanziariamente i bilanci dei paesi in via di sviluppo, poiché i costi del servizio del debito per i progetti della Belt and Road Initiative degli anni 2010 superano di gran lunga le nuove erogazioni di prestiti». Bilancia negativa e conseguenze pericolose: l’elevato debito pubblico che grava sui paesi più fragili «ostacolerà la riduzione della povertà e rallenterà lo sviluppo, alimentando i rischi di instabilità politica ed economica».
Come ci si è arrivati? «Le condizioni dei prestiti offerti dalle banche cinesi includono un periodo di grazia di 3-5 anni per i rimborsi e una scadenza di 15-20 anni. Poiché l’ondata di prestiti della Belt and Road Initiative cinese ha raggiunto il picco a metà degli anni 2010, tali periodi di grazia hanno iniziato a scadere all’inizio degli anni 2020. La combinazione di scadenze relativamente brevi e di minori agevolazioni rispetto ad altri creditori bilaterali e multilaterali ha fatto sì che l’inizio degli anni 2020 sarebbe stato un periodo critico per i rimborsi dei paesi in via di sviluppo alla Cina». E così è stato: il 2025 diventa la cartina di tornasole di quella che diversi analisti hanno definito la «diplomazia della trappola del debito».
Secondo la Banca Mondiale, la Cina è la principale fonte di servizio del debito per i paesi in via di sviluppo, superando il 30% di tutti i pagamenti nel 2025. Per gli Stati più vulnerabili, i pagamenti alla Cina rappresentano un quarto di tutti i costi del servizio del debito, superando sia i finanziatori multilaterali che i creditori privati. «Nessun singolo creditore bilaterale è stato responsabile di una quota così elevata del servizio del debito dei paesi in via di sviluppo negli ultimi 50 anni – sottolinea il Lowy Institute -. In 54 dei 120 paesi in via di sviluppo, i pagamenti per il servizio del debito alla Cina superano ora i pagamenti complessivi dovuti al Club di Parigi, un blocco che include tutti i principali creditori bilaterali occidentali».
E qui si apre un’altra partita: quella della sfida tra Cina e Occidente. «Mentre Pechino si trasforma in un esattore dei debiti, i governi occidentali rimangono concentrati sulle questioni interne, con aiuti in calo e un sostegno multilaterale in calo. Stati Uniti sempre più isolazionisti e un’Europa distratta, stanno drasticamente riducendo il loro sostegno agli aiuti globali. Senza nuovi finanziamenti agevolati o aiuti coordinati, la stretta sui bilanci si aggraverà ulteriormente».
La partita, ovviamente, è geopolitica. Un indicatore è rappresentato dai principali beneficiari dei prestiti cinesi: in primis i paesi limitrofi, «debitori di rilevanza strategica o politica». Il secondo gruppo è rappresentato dalle economie in via di sviluppo esportatrici chiave di minerali o metalli per batterie: nel 2023 hanno ricevuto erogazioni per oltre 8 miliardi di dollari, il 36% del totale dei prestiti in uscita dal gigante asiatico.
Per paradosso, la trappola del debito mette la Cina stessa davanti a un bivio: «Insistere troppo sui rimborsi potrebbe danneggiare i legami bilaterali e minare i suoi obiettivi diplomatici. Allo stesso tempo, le istituzioni creditizie cinesi, in particolare le sue istituzioni quasi commerciali, subiscono crescenti pressioni per recuperare i debiti in sospeso».
In ballo, dunque, ci sono l’equilibrio del capitalismo di Stato cinese e il ruolo globale di Pechino come senior partner della cooperazione Sud-Sud. La «Comunità del futuro condiviso», come la chiamò Xi jinping, non può rischiare di finire in default.
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