Miliardi di attivi che acquistano valore, costi di raccolta inferiori e requisiti patrimoniali meno invasivi che liberano spazi per attività più redditizie. La promozione di una grande agenzia di rating internazionale come Fitch ha molte ricadute concrete per i cittadini di un Paese, a partire dai grandi istituti bancari. È noto, infatti, che in particolare quelli più grandi sono da sempre grandi investitori in debito pubblico.
Scorrendo le varie relazioni di bilancio, si nota come la banca con il pacchetto di titoli di Stato italiani più grande è Unicredit con 47,6 miliardi di euro, seguita da Intesa Sanpaolo che ha un tesoretto intorno ai 30 miliardi. Per chiudere il blocco delle cinque più grandi, si trovano Mps (che a fine 2024 aveva 19 miliardi di titoli di Stato in pancia, si presume in gran parte italiani) seguita da Banco Bpm (16,8 miliardi) e Bper (14,6 miliardi). In tutto, le cinque banche con maggiori attivi hanno nei loro forzieri 128 miliardi in titoli di Stato italiani. Ma è un conto parziale, visto che più o meno tutti gli istituti – grandi e piccoli – sono investitori in Btp. Per avere un’idea bisogna guardare ai numeri forniti da Bankitalia e aggiornati al marzo 2025, secondo i quali la percentuale del debito pubblico italiano in mano a “banche e altre istituzioni finanziarie residenti” è il 20,4% di una torta che vale oltre 3mila miliardi. Si parla pertanto di un ammontare superiore ai 600 miliardi.
A prescindere dal giudizio di Fitch e delle altre agenzie di rating di rilievo come S&P e Moody’s che pongono tutte il debito pubblico italiano al di sopra la soglia degli investimenti più speculativi, il Btp decennale italiano (il titolo di riferimento utilizzato anche per il calcolo dello spread) negli ultimi anni ha cambiato completamente fisionomia. Infatti, da asset soggetto a oscillazioni che il sistema bancario acquistava anche per una sorta di dovere istituzionale, ora è diventato uno strumento d’investimento capace di offrire un ottimo equilibrio tra rischio e rendimento.
Basti pensare che all’inizio del governo di Giorgia Meloni, alla fine del 2022, i rendimenti del decennale italiano erano al 4,70 per cento. Oggi sono inferiori al 3,50%, il che significa che per ogni miliardo di euro collocato lo Stato risparmia 12 milioni all’anno. Ma la trasformazione in chiave positiva del Btp porta effetti positivi anche sui bilanci delle banche, che peraltro sono acquirenti regolari. Lo stock di titoli di Stato passati, quindi, possono potenzialmente essere rivenduti a prezzi superiori generando plusvalenze (e questo aumenta l’attivo degli istituti). Facendo un conto parziale, tenendo conto che i Btp in portafoglio alle banche hanno una durata compresa fra i 5 e i 7 anni, è probabile che gran parte dei titoli abbiano accresciuto il loro valore con l’abbassarsi dei rendimenti delle nuove emissioni. Il motivo è che l’investitore, per avere un titolo che rende di più di un emettitore che migliora la sua affidabilità, è disposto ad acquistare anche a più del valore nominale pur di averlo in portafoglio.
Spesso accade che una possibile decisione di un’agenzia di rating venga scontata prima del tempo dal mercato, facile che possa essere così per l’Italia che infatti ha visto azzerarsi il differenziale di rendimento con i titoli di Stato della Francia (peraltro bocciata di recente dalla stessa Fitch) e ridursi a 80 punti quello con la Germania. Se si dovesse innescare la girandola delle promozioni per il debito italiano, in ogni caso, sarebbe facile che ci sia una spinta al ribasso dei rendimenti, il che può ripercuotersi positivamente sui costi di raccolta delle banche: infatti, si potrebbe in parte mitigare la corsa ai Btp, facendo sì che le banche debbano offrire tassi attivi inferiori per trattenere la liquidità sui conti dei clienti e magari indirizzarla su prodotti, come il risparmio gestito, che favoriscono gli incassi da commissioni.
Ultimo, ma non per rilevanza, nel medio periodo le banche potrebbero beneficiare di requisiti di vigilanza sul capitale più benevoli da parte della Banca centrale europea. I requisiti di vigilanza sono tarati anche in funzione del rischio percepito di un Paese; quindi, durante gli stress test Bce se uno Stato offre scenari meno severi sul rischio sovrano le perdite simulate diventano inferiori e così calano anche i requisiti prudenziali sul capitale. Il che si traduce in meno accantonamenti e più risorse per prestare denaro all’economia o fare investimenti finanziari. Inoltre, non bisogna dimenticare che anche le banche straniere investono in titoli di stato italiano, se i Btp comportano meno accantonamenti di bilancio possono diventare un investimento a minore assorbimento di capitale e per questo più attraente.
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