La riunione di due giorni della Federal Reserve, iniziata oggi e destinata a concludersi domani sera, si preannuncia tra le più delicate, controverse e potenzialmente polemiche dell’anno. Mercoledì alle ore 20.00 italiane, la banca centrale americana comunicherà la decisione sui tassi d’interesse. Ma a tenere banco non sarà tanto la scelta in sé – i mercati si aspettano una conferma dell’attuale livello tra il 4,25% e il 4,50% – quanto le crepe interne al board della Fed e le indicazioni prospettiche che emergeranno dalla conferenza stampa del governatore Jerome Powell, in programma alle ore 20.30 italiane. Il tutto in un contesto di crescente pressione politica da parte del presidente Donald Trump.
Fratture interne alla Fed, ipotesi di voto contrario
Negli ultimi giorni, si è intensificato il dissenso all’interno del comitato direttivo. Secondo le indiscrezioni di stampa e le dichiarazioni pubbliche delle ultime settimane, almeno due membri di peso, Michelle Bowman e Christopher Waller, potrebbero votare contro lo status quo, spingendo per un taglio immediato del costo del denaro. Una mossa rara che romperebbe la tradizionale compattezza della banca centrale, e che segnerebbe una netta distanza dalla linea prudente fin qui adottata dal governatore Powell.
Entrambi sostengono la posizione di Trump, il quale da mesi accusa la Fed di frenare la crescita economica in un momento delicato per il Paese. Bowman e Waller citano segnali di rallentamento della domanda interna e un indebolimento progressivo del mercato del lavoro come elementi che giustificherebbero un allentamento più rapido. Waller, in particolare, ha indicato l’estate come momento opportuno per un primo taglio. Bowman ha invece puntato il dito contro le tensioni legate alla politica commerciale e ai nuovi dazi.
“Con il loro dissenso formale – sottolinea Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia – si potrebbero ampliare ulteriormente le spaccature all’interno della Fed soprattutto nei rapporti tra Powell e i membri più legati a Trump”. Tutto in un contesto già teso e sempre più mediatico con Trump che cerca una giusta causa per rimuovere anticipatamente Powell, il cui mandato scade nel maggio del 2026. In un recente video virale Trump ha accusato il governatore della Fed di avere speso troppi soldi federali per la ristrutturazione dei palazzi della banca centrale. Un chiaro tentativo di delegittimazione e di mettere ulteriori pressioni per le dimissioni.
Attenzioni alle parole di Powell
Più che l’annuncio ufficiale, sarà la conferenza stampa di Powell a fornire le chiavi per interpretare la direzione futura della Fed. Powell sa bene che la Fed sta camminando su un filo sottile tra la necessità di evitare una frenata eccessiva dell’economia e il rischio di riaccendere l’inflazione troppo presto, specie in un contesto globale segnato da nuova incertezza geopolitica e commerciale. “Nonostante le pressioni interne e le attese dei mercati, crediamo che Jerome Powell sia intenzionato a mantenere la rotta della prudenza”, sostiene Diodovich.
Sul tavolo della Fed anche la variabile dazi
Difficile immaginare però che la banca centrale statunitense non terrà in considerazione gli ultimi sviluppi sul fronte dazi, con gli accordi su aliquote al 15% raggiunte da Trump con Giappone e Unione Europea. “Tutta questa politica è deflattiva per l’Europa ed inflattiva per gli Stati Uniti, quindi tecnicamente potrebbe rafforzare in maniera importante l’euro”, rimarca Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea all’Università Bocconi.
Per gli Stati Uniti il come affrontare a livello di politica monetaria l’attuale scenario sta creando non poche tensioni tra la Casa Bianca e la Fed perché alla luce del rischio inflattivo i tassi scenderanno relativamente poco, anche se i mercati si aspettano una riduzione dei tassi nei prossimi mesi. “Forse la Fed farà un po’ meno di quello che si aspetta il mercato, ma vedremo”, argomenta Altomonte. “Sulla base di questi accordi sui dazi, la Fed fa due conti e capisce che c’è un rischio inflattivo americano più alto del previsto, e quindi riduce il numero di tagli previsti. Personalmente mi aspetto una Fed meno aggressiva sui tassi”.
Taglio dei tassi, cosa si aspetta il mercato da qui a fine anno
Stando alle ultime proiezioni e dichiarazioni dei membri Fed, la previsione mediana si posizione su due tagli dei tassi nel corso del 2025. Con una prossima sforbiciata già a settembre. Il rallentamento nei dati sull’occupazione, la bassa inflazione e la stabilizzazione delle aspettative inflazionistiche hanno rafforzato questa visione. Il consensus di mercato è quindi orientato verso un nuovo taglio dei tassi a settembre, con una probabilità che oscilla tra il 60% e il 65% secondo i principali modelli di probabilità.
Tra Powell e Trump una partita a scacchi. Anzi no, a tris
“Non è una partita a scacchi. Non è neanche una partita a dama. È un gioco del tris”, afferma Vincent Reinhart, chief economist di BNY Investments, secondo cui affinché la Fed tagli i tassi devono verificarsi tre condizioni: ci deve essere una certa preoccupazione sul mercato del lavoro, la percezione che l’inflazione stia tornando verso l’obiettivo, e una sufficiente certezza sulle prospettive future per essere fiduciosi riguardo alle prime due condizioni. Powell, per ora, sembra intenzionato a resistere.
La mossa di Powell che farà infuriare Trump
L’incertezza degli economisti legata all’impatto dei nuovi dazi statunitensi sui prezzi al consumo rende particolarmente difficile per la banca centrale americana valutare con precisione il sentiero dell’inflazione nei prossimi mesi. In questo contesto, la Fed potrebbe preferire un approccio “wait-and-see” fino a fine anno, raccogliendo maggiori evidenze prima di muoversi. Tradotto: Powell potrebbe decidere di non intervenire finché il quadro macroeconomico non offrirà segnali inequivocabili. Una scelta che rimanderebbe ogni taglio dei tassi al meeting di dicembre, raffreddando le speranze dei mercati e facendo infuriare Trump. Il governatore si gioca tutto sulla credibilità della Fed, anche a costo di sfidare direttamente la politica. E di diventare, ancora una volta, il bersaglio numero uno del presidente.
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