Con oltre tre miliardi di iPhone venduti da quando nel 2007 Steve Jobs presentò al mondo il dispositivo più rivoluzionario del 21° secolo e a tutt’oggi una ricca fetta dell’80% dei profitti di tutto il mercato degli smartphone, parlare di angoscia esistenziale per Apple può apparire paradossale. Ma parafrasando proprio Jobs l’innovazione e la capacità di “vedere oltre” distingue il leader dal seguace. E se la Mela Morsicata non riuscirà a dimostrare di non aver perso il tocco magico il rischio è che si materializzi lo spettro di un “momento Nokia” o BlackBerry, per restare su due colossi dei telefonini spazzati via dal nuovo ciclo tecnologico.
I piccoli campanelli d’allarme non vanno trascurati, soprattutto se si è all’inizio di una nuova era, quella dell’intelligenza artificiale. Il ceo Tim Cook, sotto la cui guida il valore di Apple è lievitato esponenzialmente per la gioia dei suoi azionisti, lo scorso anno presentò in pompa magna la strategia Apple Intelligence che portò a un boom di 200 miliardi in Borsa in un batter di ciglio. A distanza di un anno tutto l’hype legato all’AI di Apple si è sgonfiato, con il restyling di Siri rinviato a tempo indefinito e Cupertino che staziona in un limbo dove il confine tra entusiasmo e angoscia esistenziale è molto sottile.
La presentazione del nuovo iPhone 17 è alle porte (9 settembre), ma servirà ben altro per dissipare i dubbi sull’efficacia prospettica della strategia del gruppo che non deve cadere nell’errore di cullarsi sul fatto di godere del marchio fortemente identitario, che è da anni quello di maggior valore al mondo (574,5 miliardi). Secondo Brand Finance, la proposta di valore unica di Apple è la chiave del suo successo duraturo con il valore del brand che risiede in gran parte nel suo ecosistema integrato. «Apple ha nel suo dna la proposizione di prodotti e servizi che poggiano su fattori ben distintivi, a partire da standard qualitativi elevati, uso semplice e tanta innovazione; quindi, può rientrare nelle sue logiche di sviluppo il non avere fretta nel proporre le novità in ambito di AI», spiega a Moneta Lorenzo Coruzzi, valuation director di Brand Finance.
Wall Street chiede una svolta
Tra i colossi tecnologici di Wall Street l’unico a viaggiare in rosso quest’anno è proprio Apple, con il trono di più grande azienda del mondo ceduto a Nvidia che in pochi mesi l’ha già distanziata di 1.000 miliardi di dollari. «Apple è oggi prigioniera di una cultura interna poco innovativa e segnata dalla fuga di talenti AI verso i competitor», spiega Dan Ives, managing director di Wedbush e tra i maggiori guru tech di Wall Street.
Con un bacino potenziale di 2,4 miliardi di dispositivi iOS rischia di perdere l’occasione di giocare un ruolo da protagonista sulla rivoluzione AI e Ives invita Cook ad agire rapidamente portando a casa nuovi talenti in grado di accelerare la strategia sull’AI dopo che sullo sviluppo di Siri la tabella di marcia è stata ampiamente disattesa. «Cook sarà ceo probabilmente fino al 2030 – ammonisce Ives – ma è necessario che vi siano grandi cambiamenti sostanziali». Lo stesso Cook a luglio ha fatto intendere che l’azienda non resterà inerme ed è “aperta” ad acquisizioni più grandi rispetto a quelle a cui ha abituato in cinque decadi di vita (la maggiore è stata Beats Electronics per 3 miliardi). Tra i nomi più caldi sul fronte M&A c’è Perplexity, motore di ricerca AI che potrebbe diventare «la base di una rivoluzione per Siri», spiega Ives che non vede un ostacolo la valutazione stimata di oltre i 30 miliardi, alla fine un investimento marginale rispetto alla liquidità monstre del gigante degli iPhone.
Il messaggio è chiaro: senza una svolta decisa, Apple rischia di trasformarsi in un «cubo di ghiaccio che si scioglie», spettatrice della rivoluzione AI. Mentre con le mosse giuste, Cupertino restare a lungo protagonista scacciando l’incubo del “momento BlackBerry”.
© Riproduzione riservata