C’erano una volta i paninari. Era la Milano degli anni Ottanta, quella dei fast food in Piazza San Babila, degli occhiali Carrera, dei jeans Levi’s scoloriti, delle Timberland abbinate a piumini imbottiti lucidi, spesso sgargianti. Moncler, all’epoca, era più di un brand: era un passaporto estetico per una tribù urbana. Poi, come spesso accade alla moda, il mito si sgonfiò. Gli anni Novanta spensero i riflettori sui paninari, e Moncler, ormai marchio dimenticato, rischiava di finire nei cassetti della nostalgia.
Fino a quando arrivò Remo Ruffini ad acquisire nel 2003 il marchio quasi in bancarotta. La sua intuizione è brillante: Moncler non doveva più essere solo un piumino caldo, ma un simbolo di status, design e desiderio.
Il manager chiama i migliori: Giambattista Valli, Thom Browne, Virgil Abloh e tanti altri, trasformando il piumino in un capo couture. Nascono le linee Gamme Bleu e Gamme Rouge. E poi arriva il progetto Moncler Genius, una piattaforma collaborativa che coinvolge diversi designer e creativi che creano collezioni uniche e diversificate. Nel 2024, la cifra parla da sola: 3,1 miliardi di euro di ricavi. Ma più dei numeri, è l’impatto culturale a contare. Moncler è ovunque: da Saint Moritz a Seoul, dalle vetrine più minimali ai feed Instagram di rapper, attori e artisti emergenti.
A gennaio 2025 i fari hanno illuminato la pista innevata dell’Altiport di Courchevel. I droni solcano il cielo sopra l’Himalaya delle Alpi francesi. Anne Hathaway, Jessica Chastain, influencer asiatiche e redattori di moda si stringono nelle pellicce sintetiche di Moncler Grenoble, pronti a vedere sfilare una collezione da alta quota. Il format è chiaro: moda come performance totale. Non più una semplice sfilata, ma un’esperienza. Musica live. Neve vera. Storytelling. Come a Shanghai nel 2024, dove 8.000 invitati e 57 milioni di spettatori online hanno partecipato alla celebrazione di Moncler Genius, con padiglioni teatrali e scenografie avveniristiche.
A settembre dell’anno scorso Ruffini si è alleato con Lvmh in Italia. L’accordo, che porta Lvmh nel capitale della holding di Moncler Double R, prevede che Ruffini continui a definire e guidare i piani di sviluppo di Moncler mentre Lvmh si ritaglierà il ruolo di socio di minoranza “stabile e a lungo termine”, supportando la “visione” del management. Un patto parasociale tra Ruffini e Bernard Arnault “conferma” il primo come azionista di controllo di Double R e assegna a Lvmh due rappresentanti nel cda della holding e uno in quello di Moncler.
Ma non è tutto champagne e neve fresca. Il mercato americano – che rappresenta circa il 13% dei ricavi – ha iniziato a complicarsi. Con il ritorno dei dazi imposti dagli Stati Uniti, il costo di importare capi di lusso è aumentato. Moncler, però, ha risposto sfruttando una norma americana poco conosciuta, la “first sale rule” del 1988. L’azienda ha trovato un modo legale per abbassare la base imponibile dei dazi: i tributi vengono calcolati sul prezzo della prima vendita – tra fornitori e sede centrale – e non sul prezzo al dettaglio. Nel frattempo, i prezzi sono saliti: tra il 3 e il 6%. Una mossa necessaria per compensare i costi, ma anche coerente con il posizionamento nel lusso. Moncler non è per tutti – e non deve esserlo.
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