Antonio Riva è il personaggio tragico protagonista di Cento domeniche, film diretto e interpretato da Antonio Albanese e ispirato alla vicenda delle ricadute sui risparmiatori del crac delle Popolari venete. Riva, ex operaio, conduce la vita che sogna ogni pensionato che non rimpiange il lavoro. Quando la figlia Emilia gli annuncia che si sposerà, vuole regalarle il più bel matrimonio possibile. Ma la banca lo convince a non ritirare i suoi risparmi impegnati in azioni su suggerimento dell’istituto (in origine si trattava di più tranquille obbligazioni), quanto piuttosto ad accendere un prestito. Antonio si fida e commette l’errore della sua vita. Che lo porterà prima alla depressione e poi alla tragedia. Tragedia che ha segnato interi territori e che ha portato al tradimento della fiducia. Delle relazioni. Antonio vede sfilare davanti a sé tutto quello che i veneti hanno visto con i fallimenti delle Popolari: da una parte gli amici rovinati dopo aver trascorso «cento domeniche» a costruirsi la casa e dall’altra gli imprenditori riusciti a ritirare tutto o quasi prima del disastro.
Accertamenti
Nel caso di Veneto Banca i primi forti segnali di scadimento della situazione tecnica vennero da accertamenti ispettivi condotti nel 2013 dalla Banca d’Italia, che fecero emergere il fenomeno delle «azioni finanziate»: l’istituto non aveva dedotto dal patrimonio di vigilanza il capitale raccolto a fronte di finanziamenti da esso stesso erogati ai sottoscrittori delle sue azioni. La banca di Montebelluna era una Popolare non quotata, quindi le azioni venivano scambiate internamente, a un prezzo deciso dal cda, non dal mercato. Nel 2015 il prezzo delle azioni viene svalutato dall’istituto da 39,5 a 7,3 euro, poi quasi a zero: decine di migliaia di azionisti perdono praticamente tutto. Nel 2016 la banca tenta un aumento di capitale e la quotazione in Borsa, ma fallisce per mancanza di fiducia degli investitori. Interviene allora il Fondo Atlante, che prova a salvarla ma le perdite continuano. Veneto Banca viene liquidata per decreto il 25 giugno 2017, assieme al trasferimento degli asset profittevoli a Intesa Sanpaolo, che permette, assorbendo le reti, di far proseguire l’attività degli sportelli senza interruzioni. Nel default vengono coinvolti circa 80mila risparmiatori. Per molti di loro quei fantasmi non sono relegati al passato o alla pellicola di un film con Albanese, e dopo il danno ora è arrivata pure la beffa.
Esposto
All’inizio di febbraio del 2024, Luigi Ugone che è il presidente dell’associazione di piccoli risparmiatori “Noi che credevamo nella Banca popolare di Vicenza e in Veneto Banca“ presenta un esposto alla Procura di Treviso, alla Guardia di finanza, alla Corte dei Conti e a Bankitalia sulla condotta della società in liquidazione coatta amministrativa (Lca) che gestisce la defunta Veneto Banca e gli attivi residui. L’obiettivo è «evidenziare alcune posizioni specifiche poco chiare» nonché «verificare se sussistano situazioni irregolari, scorrette o illecite nell’attività di liquidazione ovvero nei comportamenti dei commissari liquidatori Giuliana Scognamiglio, Alessandro Leproux e Giuseppe Vidau». Nell’esposto Ugone punta il dito su una posizione, in particolare. Quella di Andrea De Vido, per molto tempo, assieme all’amico e sodale Enrico Marchi, a capo della diarchia che governava le sorti della Finint, una delle boutique finanziarie più esclusive del Nord Est cui indirettamente faceva capo anche un robusto pacchetto di azioni Generali. Al momento della messa in liquidazione di Veneto Banca, De Vido «si trova ad avere mediante numerose società a lui facenti capo» una serie di «esposizioni debitorie nei confronti dell’istituto per un ammontare complessivo di 73 milioni di euro». Nel 2016 sempre De Vido, prima che Veneto Banca finisca in liquidazione coatta, invia a Montebelluna una proposta per il rientro che prevedeva «l’integrale pagamento del debito» con la sola richiesta di ottenere una dilazione per vendere la sua quota di Finanziaria Internazionale Holding (detta Fih, controllata pariteticamente con Marchi) che deteneva i pacchetti di controllo della galassia Finint. I vertici di Veneto Banca, così come viene documentato «dal verbale del Comitato esecutivo numero 34 del 27 maggio 2016» accettano la proposta. Poco più di un anno dopo la banca finisce in liquidazione coatta amministrativa e vengono nominati i commissari. Che, si legge nell’esposto, «provvedevano immediatamente ad analizzare» la posizione di De Vido concludendo «degli accordi transattivi che prevedevano lo stralcio dei debiti mediante cessione degli stessi per un importo complessivo di 39 milioni a fronte dei 73 di esposizione». Con uno «sconto», quindi, di 34 milioni. In sostanza, spiega Ugone, «a solo un anno di distanza da quando De Vido si era espressamente impegnato a rimborsare integralmente il proprio debito alla banca, riconoscendolo quindi espressamente (ovvero senza alcuna contestazione di sorta), i liquidatori appena nominati procedevano a stralciare quasi la metà del debito rinunciando a incassare per la procedura la somma mancante». Questo, peraltro, quando De Vido di lì a poco avrebbe incassato circa 120 milioni per la vendita del suo pacchetto in Fih.
I commissari
Nel mirino di Ugone, finisce anche uno dei tre commissari, Giuliana Scognamiglio, avvocato e giurista romana che però al tempo sedeva anche nel cda di Banca Finint (da cui poi è uscita, per mancato rinnovo, nell’aprile del 2024) che era riconducibile «pariteticamente a Enrico Marchi e Andrea De Vido». Benché Scognamiglio «si sia astenuta dal decidere in merito a quanto oggetto di delibera», viene aggiunto nell’esposto, «appare evidente che si trovasse in una posizione di conflitto di interessi nella vicenda che la sua astensione non ha permesso di eliminare» anche «per il fatto che le decisioni dei commissari vengono prese a maggioranza». Su questo punto, Ugone ha chiesto lumi a Bankitalia che, pur non escludendo che vi possa essere una situazione di conflitto di interessi, si è limitata ad affermare in modo del tutto generico che «i componenti degli organi delle procedure di Lca devono essere in grado di agire e adottare decisioni con indipendenza di giudizio e imparzialità». All’esposto penale, Ugone fa seguire qualche settimana dopo un’integrazione che invia alla Procura di Treviso per segnalare il caso della Aprile, una spa «riconducibile a Enrico Marchi», e che appartiene a Fih. Ebbene, secondo Ugone, la Aprile spa dal 30 dicembre 2015 si ritrova ad avere una esposizione debitoria con Veneto Banca di «8,3 milioni». La scadenza utile per saldarla è fissata al «31 dicembre 2025» e il debito viene garantito da un pegno sulle azioni di Fih «per un ammontare pari al 13,17% del capitale sociale». Nel frattempo, gli anni passano e l’istituto di Montebelluna finisce in liquidazione. Durante la riunione dei commissari del 3 agosto 2017 (in quel momento sono Scognamiglio, che si astiene, Lepreux e Fabrizio Viola), però, oltre alla posizione di De Vido citata nell’esposto, viene «affrontata e risolta» anche la pratica Marchi. Ugone sottolinea che nell’aprile del 2017, «ovvero solo un paio di mesi prima» che scattasse la liquidazione della banca, Marchi aveva avanzato per conto di Aprile una proposta transattiva sollevando la nullità della compravendita dei titoli di Veneto Banca per violazione dell’articolo 2358 del codice civile. Ovvero contestando alla banca di aver effettuato una cosiddetta operazione baciata, ovvero un finanziamento finalizzato all’acquisto di azioni dello stesso istituto finanziatore. Alla fine, scrive Ugone, i commissari riconoscono a Marchi 4,2 milioni di euro «pari al 51% del debito di Aprile». Come dire che «quasi la metà della somma utilizzata per chiudere la posizione era di provenienza della medesima Veneto Banca». Ma quello che viene sottolineato da Ugone è il riconoscimento non solo della nullità dell’operazione «baciata» senza alcuna opposizione, «cosa che non è avvenuta per moltissimi altri soggetti debitori che invece hanno dovuto lottare dinanzi ai tribunali per ottenere ragione», ma «pure il riconoscimento di un risarcimento di notevolissima entità».
Senato
Ebbene, dopo tanta denuncia a che punto è la pratica? Per quanto Moneta è riuscita ad apprendere, i commissari liquidatori avrebbero dovuto essere ascoltati un paio di settimane fa in Senato di fronte alla Commissione di inchiesta sulle banche, ma l’audizione è stata rinviata al 22 gennaio. Quanto alla Procura, gli esposti dell’associazione sarebbero ancora in fase di verifica (il primo risulta affidato al pm Massimo De Bortoli, che nei mesi scorsi è però diventato procuratore di Belluno e nel frattempo è pure andato in pensione a giugno il procuratore di Treviso, Marco Martani). Dopo quasi due anni dalla loro presentazione. E a dieci anni da quel martedì grasso del 2015, quando la Guardia di Finanza fece il suo ingresso nella sede di Veneto Banca a Montebelluna facendo scoppiare il caso della ex Popolare.
Leggi anche:
Pop Vicenza, i commissari: nessun rimborso per i creditori non privilegiati
© Riproduzione riservata