Le giornate di John Elkann sono assai impegnative, forse come non mai prima d’ora. Tra aule di Tribunale per la vicenda dell’eredità che lo vede contrapposto da anni nella diatriba con la madre Margherita; lo smacco dell’affidamento ai servizi sociali e le partite delle cessioni, Gedi in testa, ma anche la Juventus dopo l’offerta, ghiotta in termini di valore, lanciata da Tether cui ha contrapposto un no secco, il dominus di Exor deve dipanare molte questioni piombate sulla sua scrivania. Ma c’è forse una preoccupazione ben più grave che lo starà assillando più di altre. È il caso Ferrari, la regina della scuderia della finanziaria olandese che era arrivata a valere a inizio anno la metà dell’intero valore di Exor. E questo nonostante la vendita di poco più del 3,4% delle azioni di Maranello che aveva fruttato un incasso cash per 3 miliardi.
Ora però dopo i guai di Stellantis che fatica a trovare la strada del rilancio, anche il pezzo pregiato della Corona batte in testa.
Il 2025 si sta rivelando infatti l’annus horribilis anche per la Rossa. In Borsa è caduta libera. Dal picco dei massimi storici toccati a febbraio di quest’anno con il prezzo a 480 euro, l’azione ha continuato a perdere terreno arrivando a valere solo 313 euro di questi giorni. In termini di valore di mercato significa un falò borsistico di oltre 26 miliardi di euro negli ultimi 10 mesi. Una caduta del 35% che per Ferrari è un unicum pesante. Mai come prima d’ora il titolo era sceso con questa intensità sul listino.
Una disaffezione profonda che ha visto gli analisti di mercato bocciare severamente il titolo con una pioggia di downgrade dei target price. Per ultima Berenberg che ha tagliato il cosiddetto prezzo obiettivo. Ma prima anche broker come Jeffries e Morgan Stanley avevano drasticamente abbassato le stime sulla scuderia. Gli analisti di Jefferies hanno ridotto pochi giorni fa il target price su Ferrari a 310 da 345 euro e hanno ridotto le stime per i prossimi tre anni in cui prevedevano consegne in calo dello 0,4% nel 2026, in rialzo dello 0,4% nel 2027 e dell’1,1% nel 2028, a fronte di un consensus che stima aumenti dell’1,1%, dello 0,4% e dell’1,5% rispettivamente. Anche le stime sui margini sono inferiori al consenso, così come quelle dell’utile per azione, «nel riflettere una visione prudente sulle consegne». Per gli analisti, «le ultime settimane hanno mostrato una maggiore consapevolezza, da parte di Ferrari, di quanto l’accelerazione dei ramp-up dei nuovi modelli possa non essere favorevole ai volumi nei mesi a venire».
Inoltre, secondo gli analisti, «il dibattito tra investitori rimarrà molto sensibile al rallentamento della crescita del fatturato, dopo il forte incremento delle consegne negli anni del Covid». Il prezzo obiettivo rivisto, pari a 310 euro, riflette un rapporto prezzo/utili 2026 di 33,3 volte, in riduzione a 30,0 volte applicato agli utili 2027. Morgan Stanley, dal canto suo ha un target price di 367 euro per azione, lontano dai 480 euro toccati ai massimi.
Gli analisti di mercato forse esagerano, troppo bene abituati alle performance stellari della Rossa che ha una guidance sull’intero 2025 con ricavi intorno ai 7,1 miliardi e un ebit margin al 29%. E anche il nuovo piano industriale al 2030 vede comunque una crescita con ricavi attesi a 9 miliardi un utile operativo per 2,75 miliardi che vale comunque il 30% del fatturato. Non certo numeri che indicano una frenata. Ma evidentemente qualcosa si è inceppato tra le attese degli analisti che vogliono numeri sempre più aggressivi e una certa prudenza del management. Difficile capire chi avrà ragione.
Resta il fatto che il crollo borsistico, al di là della forte profittabilità che Ferrari dovrebbe conservare, qualche problema lo sta ponendo ad Exor. Come detto Ferrari è l’asset prestigioso e che valeva la metà del portafoglio partecipazioni, nonostante la vendita del 3,4% delle azioni. A giugno del 2025 l’asset Ferrari era a bilancio di Exor per 15,7 miliardi. Ma la forte caduta dei prezzi sul listino vede oggi il valore di Ferrari a non più di 12 miliardi di euro. Di fatto 3,7 miliardi sono stati bruciati e quindi a fine del 2025 se il titolo non si riprenderà Exor dovrà conteggiare la sua quota del 19,5% in Ferrari a 12 miliardi. E così ci sarà un impatto sull’intero net asset value di Exor che dovrà essere rivisto al ribasso. Ecco perché la caduta della regina del parco attività della finanziaria olandese comincia a suscitare qualche apprensione.
Certo i fondamentali restano solidi. Averne di società che riescono a produrre un utile operativo che vale il 30% del monte ricavi. Del resto Ferrari più che una casa automobilistica è un brand del lusso, un unicum di prestigio che troverà sempre ricchi compratori delle sue vetture come mostra l’andamento delle consegne sempre crescenti nel tempo, al di là della parantesi del Covid.
Ma a dire il vero i grandi insuccessi sportivi in Formula 1 non aiutano, anzi cominciano a pesare sull’allure reputazionale della Rossa anche a livello commerciale. E senza lo sprint di Ferrari, anche Exor rischia di andare in grave sofferenza. Non è un caso che la finanziaria abbia subito a sua volta una caduta sul listino. Il titolo Exor infatti oggi quota solo 72 euro, quando a febbraio (massimi storici di Ferrari) valeva 96 euro e ai suoi massimi del maggio 2024 il prezzo dell’azione Exor si collocava a 106 euro.
Oggi Exor vale in Borsa solo 15 miliardi con una forte penalizzazione sul valore netto dei suoi asset che a giugno erano a 36 miliardi.
Certo da sempre Exor come tutte le holding finanziarie è trattata sul listino con uno sconto strutturale che in genere arriva al 30-40% del valore delle partecipazioni. Ma qui ormai siamo a livelli di sconto che superano ampiamente il 50%. Un livello che non si vedeva da anni.
Tra la crisi profonda di Stellantis che ormai vale solo il 9% del portafoglio di Exor e lo scivolone borsistico di Ferrari non c’è da stupirsi che il mercato venda Exor, in attesa di capire se Stellantis risorgerà e ora se la crisi sul listino di Ferrari potrà essere in qualche modo recuperata. Certo è che sta cambiando profondamente il Dna di Exor. Sempre meno auto, sempre meno manifattura. Sempre più finanza, lusso e tech. La metamorfosi indotta da Elkann che punta a uscire da business ad alta intensità di capitale e che concorrono sul mercato aperto (leggi soprattutto Stellantis) a favore di puri investimenti da boutique finanziaria con puntate sul lusso e sulle start up nel tech, è ormai conclamata.
Basti vedere qual è oggi l’apporto di Lingotto, la branca attiva negli investimenti finanziari.
Lingotto da solo è a bilancio di Exor per 3,2 miliardi e le società non quotate da Institut Merieux, a Via Transportation, a Louboutin, solo per citarne alcune, valgono nei conti di Exor di giugno 2025 altri 3,5 miliardi. Insieme la new frontier di Elkann assomma quasi 7 miliardi di euro di valore che fanno il 17% del Nav dell’intera finanziaria.
A ben vedere le partecipate che fanno finanza e investono in lusso, sanità e tech valgono la somma di Stellantis (al 9%) e Philips. Più evidente di così. È scritto nei numeri il disimpegno sulla manifattura industriale di Exor.
© Riproduzione riservata