La capitalizzazione combinata di Mps e Mediobanca raggiungerebbe la soglia dei 25 miliardi. Ma una volta celebrate le nozze e sprigionato il potenziale da 700 milioni di sinergie fra costi e ricavi, allora anche il valore di Borsa complessivo è destinato ad aumentare di pari passo con gli utili. Certo le sfide non mancheranno per l’amministratore delegato Luigi Lovaglio, perché una volta completata la scalata – e raggiunto l’obiettivo di superare il 50% del capitale di Piazzetta Cuccia – dovrà scegliere un nuovo timoniere per Mediobanca, che evidentemente non potrà continuare con l’attuale ceo Alberto Nagel dopo uno scontro tanto duro. Al momento sul futuro dell’istituto è in corso un’interlocuzione con i grandi soci di Siena – l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin – per trovare una soluzione che sia in sintonia con le prescrizioni del Tesoro.
La scelta sarà cruciale: Lovaglio ha già tracciato un identikit molto preciso, ovvero un profilo elevato e di respiro internazionale, capace di operare a livello globale. In Italia ci sono diversi manager che potrebbero rispondere a queste caratteristiche e c’è chi, in ambienti finanziari, comincia a sussurrare i primi nomi. Uno di quelli che circolano con più insistenza è quello di Mauro Micillo, attuale responsabile della divisione Corporate&investment banking di Intesa Sanpaolo. Lui in effetti avrebbe un profilo internazionale e l’esperienza accumulata in una banca d’investimento che opera nel perimetro di un grande istituto commerciale (quello che diventerà il gruppo Mps-Mediobanca). Intesa Sanpaolo non si metterebbe di traverso, al posto di Micillo verrebbe promosso Raffaello Ruggieri e Stefano Barrese rimarrebbe in prima fila per la successione all’attuale ad Carlo Messina.
Per la presidenza della futura Mps-Mediobanca, invece, se la starebbero giocando l’attuale numero uno di Prelios ed ex vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, e Luigi de Vecchi, banchiere di spicco di Citi e professore di finanza alla Luiss di Roma. Sondato anche l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli, la cui candidatura è però sfiorita per i costi elevati d’ingaggio. La scelta dei vertici è la madre di tutte le decisioni perché quanto più carismatiche saranno le figure scelte, quanto più queste avranno un loro peso nel trattenimento dei talenti di cui Mediobanca è piena. Perché bisognerà poi arginare un possibile esodo di banker vicini alla precedente gestione che tuttavia, a parte qualche caso isolato, possono anche essere convinti a sposare il nuovo progetto. La leva prediletta, in questo caso, può passare anche da una politica di remunerazione interessante, per la quale si troverà spazio anche in virtù dei nuovi ricavi che fluiranno nelle casse della realtà combinata.
E che fare con lo storico brand di Piazzetta Cuccia? L’idea fin d’ora è mantenere il marchio come entità a sé stante, in modo che possa continuare a vivere un nome che è da sempre il punto di riferimento dell’investment banking italiano. La cosa farebbe il gioco di Mps, che certo ha conquistato Piazzetta Cuccia per metterla nelle condizioni di rendere al meglio, preservandone e incrementando la sua reputazione a livello internazionale. Mediobanca, pur essendo un istituto ben gestito, da tempo è adagiata sul tesoretto di ricavi (che pesano per circa il 40% dell’utile) che gli garantisce la partecipazione del 13,3% di Generali. Quest’ultima è stata definita dallo stesso Lovaglio un “nice to have”, vale a dire una partecipazione che è un asset importante ma non imprescindibile per il dispiegarsi del progetto. Significa, in termini pratici, che la quota potrebbe essere in futuro anche valorizzata per alimentare un’ulteriore acquisizione che possa far fare un salto evolutivo al gruppo nascente.
E qui potrebbe riprendere quota il progetto di unirsi a Banco Bpm, che era stato momentaneamente messo in stand by dopo il tentativo di scalata, poi abbandonato, da parte di Unicredit. In tal senso gli indizi ci sono tutti: la francese Credit Agricole, prima azionista di Bpm, ha eretto un argine alla possibile avanzata di Orcel chiedendo alla Bce di poter salire oltre la soglia del 20% di Piazza Meda. Inoltre, attraverso la sua casa di asset management Amundi, ha appoggiato l’avanzata di Lovaglio e ha pure il problema di trovare un nuovo contratto di distribuzione per i suoi fondi, essendo in scadenza nel 2027 quello con Unicredit che ora punta a internalizzare le fabbriche prodotto puntando meno sul collocamento dei fondi di terze parti. Tenere a battesimo il terzo grande gruppo bancario italiano gli garantirebbe un credito di riconoscenza che potrebbe essere riscattato proprio attraverso un contratto di distribuzione simile a quello in scadenza con Piazza Gae Aulenti, che finora ha collocato circa 100 miliardi di asset che Amundi gestisce in Italia. Un mercato che per i francesi è fondamentale, essendo il secondo più importante dopo la Francia e pesando per il 15% degli utili del gruppo. Insomma, i motivi per accordarsi ci sono tutti per gli attori in gioco.
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