E a dare scacco alla fine fu il pedone. Il Monte dei Paschi è la grande protagonista bancaria del risiko. Con il colpo grosso su Mediobanca, l’ex salotto buono della finanza, quello dove sedevano i Pirelli, gli Agnelli i Falck, che insieme con Enrico Cuccia decidevano di fatto e indirizzavano per implicito e reciproco consenso il capitalismo italiano. Il posto, insomma, dove le azioni si pesavano e non si contavano solamente, da dove si gettava il tappo di champagne per far capire che la più grande Opa del secolo scorso, quella di Olivetti contro Telecom era andata a buon fine con la consulenza proprio di Piazzetta Cuccia, allora semplicemente Via Filodrammatici. La stessa che ha curato le grandi privatizzazioni per conto dello Stato, a partire da Enel e che negli anni Novanta ha disegnato il salvataggio del gruppo Ferruzzi. Negli ultimi anni sul Trono di Spade dove si sono seduti Cuccia e Maranghi c’è Alberto Nagel che tra pochi mesi, se l’Ops del Monte andrà in porto, è destinato ad essere sostituito.
Ma come è nata la scalata a Mediobanca del Monte dei Paschi? L’ad Luigi Lovaglio aveva prospettato già tre anni fa al Mef, primo azionista di Rocca Salimbeni, l’operazione sul gruppo guidato da Nagel. “Il 16 dicembre 2022, dopo aver completato l’aumento di capitale da 2,5 miliardi”, cui partecipò anche il Tesoro, “incontrai il ministro dell’economia Giorgetti e presentai tre opzioni. Ovvero, continuare da soli, fare un’operazione fra pari e un’operazione con Mediobanca. Ora è giunto il momento”, aveva detto Lovaglio a gennaio.
Torniamo a quei giorni: il 6 dicembre il ministro Giorgetti conferma l’impegno del Tesoro a “uscire ordinatamente dal capitale” del Monte “preservandone il valore e il ruolo di sostegno ai territori e alle imprese”. Il 13 dicembre Mps scatta in Piazza Affari con un balzo del 5,25% e sfiora quota 1,93 euro. In quelle settimane il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, è sotto spoil system (la pratica politica per cui i vertici della pubblica amministrazione vengono sostituiti al momento dell’insediamento di un nuovo governo). Iniziano a circolare le voci di un possibile spezzatino del Monte o di una eventuale cessione di sportelli. Lovaglio va in via XX Settembre e al ministro Giorgetti spiega la sua strategia. In quella presentazione c’è una slide in cui vengono sottolineati alcuni punti: il primo riguarda lo stop loss e la scelta azzeccata di non aver accettato l’offerta di Unicredit (nell’autunno 2021, l’ad, Andrea Orcel, si era seduto al tavolo del Tesoro per rilevare il Monte ma alla fine l’accordo saltò), il secondo punto accenna agli svantaggi di procedere con uno spezzatino degli asset e il terzo identifica tre opzioni alternative. Una è far vendere le quote del Mef sul mercato, la seconda è procedere con un cosiddetto merger of equals, una fusione tra pari, e poi c’è la terza proposta, la più dirompente: un transformational deal con Mediobanca mettendo insieme due brand storici con dentro anche l’investment bank.
Sono passati tre anni, ed ecco l’offerta di Mps su Mediobanca. Sullo sfondo, c’è la storia di Siena. Sono stati pubblicati molti libri, fatte molte inchieste di approfondimento, ci sono state pure delle serie tv, sulla crisi del Monte dei Paschi innescata dall’acquisto di Antonveneta, varato dall’allora presidente Giuseppe Mussari con il placet della Fondazione, che poi ha portato all’ingresso dello Stato. Con Lovaglio, l’istituto di Rocca Salimbeni ha disinnescato anche quella mina e non è più una preda o una banca “da maritare” ma è diventato cacciatore. E nelle contrade è tornato l’orgoglio.
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