Anche se Eva Chen avesse continuato Medicina alla Johns Hopkins University dove si era iscritta, questa storia sarebbe andata tutta diversamente. Invece lei, classe 1980, originaria di Taipei e Shangai ma newyorkese d’adozione, giornalista fashion e ormai «regina di Instagram» (è responsabile delle partnership di moda per la piattaforma di social media) intercettò la tendenza in tempi non sospetti nel 2015. Convinta com’era, già allora, che Instagram democratizzi la moda. Perché «dà la possibilità di instaurare un rapporto orizzontale tra consumatori e azienda. Da un lato un utente può esprimere liberamente il proprio apprezzamento per un prodotto, dall’altro le imprese possono parlare direttamente con il proprio pubblico e raggiungere una connessione molto più profonda con i propri clienti».
Da allora, la metamorfosi ha iniziato a insinuarsi morbida. Ma ora si è messa a rotolare svelta. Le aziende di moda e lusso, grazie a social, realtà aumentata, profilazioni e intelligenza artificiale hanno imparato a comunicare da sole. Ad arrivare al proprio pubblico, a raccontare la propria storia, a «centrare» i valori del proprio marchio. E, sempre grazie alla rivoluzione digitale, hanno imparato a farlo in maniera mirata, capillare, efficace. Più di quanto non abbia fatto finora la pubblicità classica nata per molti, rivolta a tutti. Le grandi aziende di moda hanno una nuova consapevolezza: quella di potersi raccontare in autonomia e di essere in grado di dire al mercato cosa desiderare senza aspettare di sapere cosa il mercato desideri. Si tratta di una rivoluzione epocale, di una sostanziale inversione di rotta.
Lvmh, Prada, Tod’s, Luxottica, Balenciaga, Burberry, Hermès… Tutti a lezione da Steve Jobs che al lancio del primo iPhone teorizzava: «Le persone non sanno cosa vogliono finchè non glielo mostri». Non basta rispondere a delle esigenze, bisogna crearle. Il nuovo fenomeno a cui stiamo per assistere è la metamorfosi delle realtà fashion: le grandi aziende convertiranno una parte rilevante della loro attività in imprese di comunicazione.
E questo perché, oggi, l’advertising nella moda è considerata un elemento strategico fondamentale, non solo una semplice promozione. Anche perché si nutre di dati che sono il vero motore del mercato, l’oro del marketing. Cederli, passarli ad altri, appaltare la loro gestione esternamente sarebbe un colossale errore imprenditoriale. Molte aziende di moda stanno già scegliendo di internalizzare le attività di comunicazione, creando dei team interni, perché ciò permette un maggiore controllo e coerenza del brand, oltre a garantire una reattività più rapida alle tendenze di mercato. Questa mossa strategica mira a gestire direttamente la funzione che è diventata sempre più cruciale per definire l’identità del marchio, costruire relazioni dirette con il pubblico e influenzare il mercato.
L’internalizzazione rispecchia l’importanza di questo aspetto. Un team interno può rispondere più rapidamente ai cambiamenti del mercato e alle tendenze emergenti, specialmente sui canali digitali come Instagram e TikTok, che sono diventati centrali per la narrazione e l’identità del brand. Il che significa anche che la pubblicità tradizionale su carta e tv servirà solo ad affermare l’esistenza di un marchio, non a spingerlo, orientarlo, sostenerlo. Questi sono aspetti che le aziende gestiranno in autonomia. E un’azienda in grado di influenzare direttamente il proprio target è un’azienda che riduce i margini di errore il che, in termini di produzione, fa un’enorme differenza dal punto di vista economico, specie quando si tratta di lusso.
Sfilate virtuali
Storytelling digitale (fondamentale per tutti), community, personalizzazione delle esperienze per i clienti, eventi e sfilate virtuali nel Metaverso, uso dei canali digitali per costruire un rapporto emotivo e duraturo con i consumatori, realtà aumentata per simulare l’esperienza d’acquisto «reale» anche con virtual assistent, testimonial in grado di interpretare e rafforzare i valori del marchio e naturalmente l’IA per analizzare i dati che gli stessi clienti «donano» entusiasticamente ai loro brand preferiti (profilazione). Perché la gente vuole sentirsi parte di qualcosa di esclusivo, perché oggi funzionano gli affreschi evocativi e la risonanza emotiva: non sto comprando un paio di scarpe con i gommini sotto le suole, sto entrando nel mondo Tod’s, che è riservato a pochi.
Il lusso non si vende, si racconta. E i social media, Instagram in testa, sono perfetti per questa trasformazione del business. Il mercato globale dell’IA nel lusso ha raggiunto 3 miliardi di dollari e il 78% delle aziende del lusso considera l’IA una priorità strategica. Circa il 60% dei brand del settore ha già implementato progetti in questo ambito. Oggi più di 25 milioni di brand hanno un profilo business e l’80% degli utenti Instagram segue almeno un’azienda di moda.
I clienti? Li si va a prendere uno a uno in base a ciò che comprano, chiedono, spendono, a cui aspirano e talvolta a cui non sanno neppure di aspirare. Bisogna comunicare la mission e i valori di un brand, creare un’identità visiva (logo e palette da colori iconici, packaging distintivo, siti e canali social visivamente accattivanti), rispettare la coerenza del messaggio e del Dna del marchio. E ogni canale social risponde a esigenze precise: Instagram e Tik Tok sono i luoghi virtuali delle campagne visive, delle influencer partnership, delle fashion challenge; Youtube è quello dei contenuti esclusivi del dietro le quinte e dei tutorial di styling; Linkedin e Twitter sono quelli nei quali si posiziona il brand e si comunicano i valori dell’azienda. E sono anche i luoghi in cui i clienti diventano co-autori dei contenuti. Su questa nuova tela, dove si consuma la sfida di riuscire a inserire «pennellate» di tecnologia senza perdere l’artigianalità e il fattore umano, ogni brand dipinge la sua strategia. E sono le più disparate.
Make Up
Qualche esempio? Vuitton ha sviluppato un sistema di IA che elabora lo storico degli acquisti di ciascun cliente per raccomandare prodotti in linea con i gusti. Cartier analizza le abitudini di acquisto degli acquirenti vip per personalizzare le campagne pubblicitarie. Burberry, precursore nel trasmettere online in diretta le proprie sfilate e nel lanciare il «See now, buy now», allo stesso modo orienta sia le sue campagne marketing sia la sua produzione anticipando la domanda e si tratta di qualcosa di cruciale nel lusso, visto che un errore nell’intercettare il trend può lasciare invenduto un costoso magazzino.
Chanel, che ha sviluppato assistenti virtuali in grado di consigliare i nuovi prodotti della maison, utilizza l’IA per creare contenuti mirati per gli interessi dei suoi fedelissimi: dall’arte al cinema, alla letteratura… Mentre Gucci, già nel 2019, ha introdotto la realtà aumentata per dar modo ai propri clienti di «provare», attraverso lo smartphone, occhiali e cosmetici ottenendo l’effetto di ridurre l’incertezza d’acquisto di prodotti costosi che non si ha modo di testare fisicamente. Anche Dior offre una possibilità simile per i propri prodotti make up, così come L’Oréal Luxe. Mentre Rolex e Omega, attraverso l’IA, gestiscono le inserzioni online adottando sia offerte che creatività più mirate. Senza considerare che queste innovazioni servono a posizionarsi come innovatori tech e ad attrarre un pubblico più giovane.
Inutile vivere l’IA come un nemico o come un’alternativa a ciò che mai vorremmo sostituire. Ricordiamo sempre che l’intelligenza artificiale è potente quanto i dati che la nutrono e per ora, a nutrirla, siamo ancora noi.
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