Antonio Filosa, dal 23 giugno prossimo nuovo ceo di Stellantis, subito al lavoro a partire dai due stabilimenti simbolo del gruppo: Sochaux, in Francia, dove nascono le Peugeot, e Mirafiori, a Torino, la casa della Fiat dove per lui tutto è cominciato 25 anni or sono. Filosa, in arrivo dagli Stati Uniti, ha così potuto toccare con mano la situazione di estrema gravità e incertezza in cui è piombato l’intero sistema produttivo italiano. Il predecessore Carlos Tavares, con la sua ubriacatura per l’auto elettrica, che gli italiani non comprano e che vede la Commissione Ue fare retromarcia sui piani iniziali, ha di fatto lasciato i capi dei marchi con il cerino acceso. Fiat, Abarth, Lancia, Alfa Romeo e Maserati, le icone del «made in Italy», che fine faranno? Gli impianti funzionano a singhiozzo, la maggior parte delle novità annunciate restano al palo, a dominare sono cassa integrazione e uscite incentivate. In più, la «francesizzazione» delle gamme ha stravolto dna e stile.
Filosa, già dalla visita a Mirafiori, si sarà reso conto personalmente della gravità della situazione. Cosa fare, allora? I tempi sono strettissimi e dall’uscita di scena di Tavares, sei mesi fa, l’encefalogramma di Stellantis è rimasto pressoché piatto. Si è perso altro tempo prezioso, tanto che il «Piano Italia», presentato a fine 2024 da Jean-Philippe Imparato, responsabile per l’Europa allargata, avrebbe dovuto essere riproposto a giorni con gli opportuni aggiustamenti. Un segnale ulteriore di incertezza. Di certo ci metterà le mani Filosa. Salvare il salvabile? Sacrificare, in pratica, e a malincuore un pezzo di storia dell’auto italiana, per la serie “mors tua vita mea”? La realtà dice con estrema crudezza che avanti di questo passo la produzione italiana non dura.
Prendiamo Maserati: ci sarebbe una fila di acquirenti pronti a firmare l’assegno. Si tratterebbe, per lo più, di «paperoni» arabi. Le vendite del Tridente sono al lumicino anche perché c’era la convinzione che l’appassionato di queste sportive venisse «folgorato» dalle opzioni elettriche, battezzate appunto «Folgore», con tanto di rombo artificiale. Risultato: le GranTurismo e GranCabrio, i cui assemblaggi traslocano da Mirafiori e Modena, ritrovano il poderoso V6 prodotto a Termoli (altro che gigafactory… ), anche se restano in gamma le versioni «Folgore» con le batterie made in Mirafiori. E Grecale, il Suv rimasto di Maserati? Soffre a Cassino e altrettanto succede per le nuove Alfa Romeo Stelvio e Giulia. Il progetto Tavares, fatto digerire ai suoi manager (guardandoli negli occhi si capiva cosa realmente pensassero…), prevedeva i due modelli del Biscione solo elettrici. Follia pura, che ora si cerca di rimediare. Per questo a Cassino i tempi di lancio vengono spostati (2026? si spera): sono in corso rimodulazioni dei piani, con revisioni stilistiche al fine di dotare le novità di motori – seppur ibridi – che rispettino la tradizione, «Quadrifoglio» inclusi. «Alfa Romeo è la piaga più grossa per Stellantis, il piano è confuso, è un marchio che ha sempre fatto fatica», commenta un esperto.
C’è poi Lancia, brand ormai considerato solo italiano, dopo una parentesi nel Regno Unito e un momento positivo vissuto in Francia. Il tentativo con la nuova Ypsilon, prodotta in Spagna, di realizzare un’auto di gamma più alta si è scontrato con il listino più alto rispetto al precedente modello che, seppur unico nell’offerta, ha dato buoni risultati fino a quando è stata tenuto in vita. Anche le auto annunciate, Gamma e Delta, da elettriche saranno anche e soprattutto ibride. «La fine di Lancia è stata quando la Delta vinse il Mondiale Rally, ecco perché ancora oggi all’estero si parla di Delta e non di Lancia», spiega l’esperto. E Abarth? «Non ci ha mai creduto nessuno: solo Luca De Meo, ai tempi di Fiat, si era appassionato, tentando il rilancio». Anche la proposta delle 500 e 600 Abarth elettriche con il sound registrato è stata un flop.
C’è poi Fiat che sconta, ora, i ritardi di disponibilità della Grande Panda, che nasce però in Serbia, a causa di problemi relativi alle forniture per i pagamenti in ritardo. Male anche la nuova 600, realizzata in Polonia. Pure in questo caso alla versione iniziale solo elettrica si è tardivamente deciso di abbinare il modello ibrido.
«La Fiat ormai vive grazie alla Panda nelle sue evoluzioni e alla 500 – osserva ancora l’esperto – ma non quella elettrica. Aveva ragione Sergio Marchionne quando disse che costa di più farla rispetto al guadagno». A novembre la 500 ibrida sbarcherà a Mirafiori (dalla Polonia) rinnovata e con programmi ambiziosi, «ma non è una vera novità e poi arriva tardi – conclude l’osservatore -; la verità è che oggi si pagano anni di caos e di guerre interne». La parola passa così a Filosa. Per l’auto italiana è l’ultima spiaggia. Riuscirà Sant’Antonio a compiere il miracolo?
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