Lo scorso anno gli addii a Piazza Affari sono stati ben 28 per complessivi 26 miliardi di euro in termini di valore di mercato. Ad accingersi a salutare la Borsa c’è anche Bialetti, la storica moka lascerà la ribalta dei mercati dopo 18 anni, aggiungendosi a una serie ormai lunghissima di uscite dal parterre borsistico italiano. Dietro l’emorragia si nascondono diverse concause, dall’alternativa rappresentata da finanziatori quali i fondi di private equity, all’insoddisfazione degli imprenditori dinanzi a quotazioni ritenute insoddisfacenti.
A emergere con forza è la difficoltà a sostenere la liquidità delle piccole e medie imprese quotate. Nonostante iniziative volte a favorire l’accesso al mercato dei capitali, come la creazione dell’Euronext Growth Milan (ex Aim Italia), molte società di dimensioni ridotte faticano infatti a ottenere una sufficiente attenzione da parte degli investitori istituzionali e retail; questa scarsa liquidità si traduce in ampia volatilità e soprattutto in una valorizzazione non in linea con quella delle pmi quotate su altri listini, rendendo di fatto più onerosa e inefficiente la permanenza in Borsa.
Dare una marcia in più al mercato dei capitali è l’obiettivo principale del nuovo Fondo Nazionale Strategico indiretto (Fnsi) promosso dal ministero del Tesoro e gestito da Cassa Depositi e Prestiti. Nato con l’intento di sostenere gli investimenti nelle società quotate italiane non appartenenti all’indice Ftse Mib, il fondo è ufficialmente operativo da poche settimane e annovera già una ventina di Sgr interessate e almeno una decina di fondi in rampa di lancio. Nel concreto il Fnsi funziona come un fondo di fondi; quindi, non investe direttamente in azioni o altri strumenti finanziari, ma sottoscrive partecipazioni, fino al 49%, in fondi chiusi di nuova costituzione gestiti da Sgr private. Il restante 51% sarà coperto dai privati. Le società di gestione utilizzeranno il capitale raccolto per investirlo nelle Pmi quotate su Borsa italiana con l’obbligo di rispettare determinati paletti: il vincolo di destinare almeno il 70% del portafoglio a tale scopo (il restante 30% potrà essere investito titoli di Stato e società italiane con ricavi superiori a 50 milioni). Il forte focus sulle piccole e medie imprese è testimoniato da questa quota minima del 70% che si confronta ad esempio con l’appena 21% previsto dai Pir.
Sono ben 324 le società quotate a Piazza Affari potenzialmente investibili dai fondi cofinanziati dal Fondo Nazionale Strategico, pari al 77% delle 419 società quotate sul listino principale milanese (dati dell’Osservatorio Ecm Euronext Growth Milano di IrTop Consulting).
Gli investitori privati saranno liberi nella scelta dei gestori con Cdp e Mef semplici sottoscrittori con il solo scopo di creare un ecosistema coinvolgendo anche investitori internazionali. Come detto la quota pubblica sarà del 49%, con un potenziale di impiego di almeno 350 milioni di euro e la mobilitazione di un totale di 700 milioni iniziali che potrebbero nel tempo più che raddoppiare, arrivando fino a un miliardo e mezzo considerando che in Italia ci sono un centinaio di soggetti tra fondi pensione, assicurazioni e fondazioni. L’intento è creare un investitore paziente che faccia da catalyst per il segmento delle pmi quotate.
«È una mossa brillante che mostra la presa di consapevolezza da parte del governo di quanto siano strategiche le pmi, che rappresentano il cuore della produzione italiana», spiega Matteo Serio, partner e direttore commerciale di AcomeA Sgr, che vede nel Fnsi l’inizio di un disegno più ampio volto a rivitalizzare le pmi italiane quotate, ma anche quelle che si potranno quotare. Infatti, un mercato più liquido andrà in prospettiva a essere più attraente per chi in futuro vaglierà l’opzione Ipo. Come più volte sottolineato dal sottosegretario all’Economia, Federico Freni, il Fnsi è solo un tassello di un più ampio disegno che sfocerà nella riforma del Tuf con un regime normativo speciale per le società che accedono per la prima volta al mercato dei capitali.
Il Fondo nazionale strategico arriva proprio in un momento in cui le valutazioni in Borsa delle pmi italiane viaggiano a valori estremamente bassi. «Storicamente le pmi offrono un premio al rischio rispetto large cap – argomenta Serio – e quelle italiane si distinguono per valutazioni estremante basse e nell’ottica dell’investitore estremante convenienti». Dello stesso parere Andrea Randone, head of mid small cap research di Intermonte: «Le azioni italiane a media capitalizzazione continuano a rappresentare un investimento interessante, anche grazie ad un contesto politico interno relativamente stabile. E iniziative come il Fnsi dovrebbero fungere da catalizzatore positivo».
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