La crisi dell’auto è scoppiata in tutta la sua evidenza nel 2024, anno caratterizzato da un forte calo della produzione in Italia, che ha coinvolto anche l’indotto e in particolare il comparto della componentistica. La prima conseguenza è stata la netta diminuzione dei fatturati dell’intera filiera. Le cause? Sono molte, ma si possono ricondurre, in sintesi, all’imprevisto balzo dei costi di produzione e soprattutto all’incertezza che circonda ancora la transizione verso l’elettrico, fattore ritenuto il primo responsabile dell’attuale frenata degli acquisti in concessionaria. La sostituzione dell’auto viene infatti spostata sempre più in là nel tempo, in attesa di capire come e quando si completerà il passaggio dal motore termico a quello elettrico. Il trend è sempre più evidente: si comprano meno auto nuove, mentre sono in aumento le compravendite di vetture usate. Per il 2026 si intravedono i segnali di una possibile ripresa, frutto delle contromisure che i costruttori stanno mettendo in atto, ma non tutti gli analisti sono concordi sui tempi: per i più pessimisti la svolta non arriverà prima di un quinquennio. La speranza è che l’elettrificazione possa aprire nuove prospettive, anche se resta l’incognita dei tempi necessari all’attivazione delle nuove tecnologie. Nel frattempo le case produttrici tentano di fronteggiare la crisi, cercando di superarla nel più breve tempo possibile, operando su vari fronti, compreso quello dei listini di vendita.
Stellantis
La società è una joint-venture italo-francese, nata dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e Psa. Ha sede legale ad Amsterdam e i principali azionisti sono la famiglia Agnelli tramite la finanziaria Exor (con il 14,4% delle azioni), il gruppo francese Peugeot Invest (con il 7,74%) e lo Stato francese tramite Bpifrance (con il 6,65%). Il controllo da parte dei due principali soci, se si tiene conto della loro nazionalità, è dunque paritario. La crisi del settore si sta facendo sentire anche sui conti della società. Secondo fonti sindacali, i tagli alla produzione stanno proseguendo quest’anno dopo quelli già portati a termine nel 2024. Nei primi nove mesi del 2025 il calo delle unità fabbricate è stato del 31,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tutti gli stabilimenti del gruppo registrano flessioni produttive comprese tra il 17 e il 65%. Anche quest’anno la riduzione riguarderà complessivamente circa un terzo dei volumi. Per la fine del 2025 si scenderà infatti a poco più di 310mila unità complessive, con le sole autovetture che si fermeranno al di sotto delle 200mila unità. Il titolo Stellantis, intanto, vale poco più di 8 euro (8,394 la chiusura di martedì 18 novembre), in calo del 33,9% rispetto alla quotazione di un anno fa.
Diversi e variegati i giudizi degli analisti. Lo scorso 10 novembre Citigroup aveva confermato il giudizio neutral ma nel contempo aveva migliorato il target-price, innalzandolo a 9 euro, mentre pochi giorni prima (mercoledì 5 novembre) Rbc Capital aveva confermato il giudizio market perform (farà come il mercato) ma aveva tagliato a 8 euro il prezzo obiettivo. In precedenza (3 novembre) Intesa Sanpaolo aveva aumentato, portandolo a 10 euro, l’obiettivo di prezzo. Risalgono al 31 ottobre invece le valutazioni di Equita Sim e Mediobanca. La prima ha confermato il giudizio hold (mantenere) e ridotto il target di prezzo a 9,5 euro, mentre la seconda lo ha ritoccato al rialzo, fissandolo a 9,9 euro. Quanto all’analisi tecnica calcolata da Teleborsa sulla base del prezzo di chiusura di martedì 18 novembre, il primo supporto è fissato a 8,111 euro e il secondo a 7,827 euro, mentre la prima resistenza è collocata a 8,961 euro e la seconda resistenza a 9,81 euro.

Brembo
Leader nello sviluppo e nella produzione di impianti frenanti per veicoli, occupa quasi 15mila dipendenti ed è quotata dal 1995 alla Borsa di Milano. Il fondatore Emilio Bombassei controlla la società con il 53,2% del capitale attraverso la cassaforte di famiglia Nuova Fourb. Il titolo, scambiato a poco meno di 9 euro, vale sostanzialmente come un anno fa. Dopo la presentazione dei risultati dei primi nove mesi, gli analisti hanno migliorato i loro target-price, confermando in gran parte i precedenti giudizi. Il 14 novembre Equita Sim lo ha innalzato a 12 euro (rispetto ai precedenti 11,5 euro), mentre pochi giorni prima Intesa Sanpaolo e Deutsche Bank si sono limitati rispettivamente a 11,2 e 9 euro. Venerdì 7 novembre, infine, si erano pronunciati gli analisti di Oddo Bhf, ritoccando al rialzo (a 10 euro) il loro target di prezzo.
Landi Renzo
È una delle principali società dell’indotto auto. Ha sede a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, e produce componenti per la gestione della pressione per gas naturale e idrogeno. Il titolo è scambiato a poco meno di 9 euro e, rispetto a un anno fa, presenta una performance negativa di oltre il 57%.
La società ha presentato lo scorso 14 novembre i risultati dei primi nove messi dell’esercizio, con ricavi in contrazione e utili del periodo in calo. Non sono ancora disponibili, dopo tale data, giudizi aggiornati da parte degli analisti.
Pininfarina
Anche questa società opera nell’indotto auto e in particolare nel settore delle carrozzerie. La maggioranza del capitale è passata nel 2015 dalla famiglia del fondatore al gruppo indiano Mahindra e i nuovi proprietari hanno revocato la quotazione in Borsa. Di conseguenza non sono più stati emessi giudizi da parte degli analisti. Nei primi nove mesi di quest’anno (i risultati sono stati resi noti lo scorso 13 novembre) il gruppo ha registrato una perdita netta di 5,5 milioni di euro.
Ferrari
Fondata a Maranello da Enzo Ferrari nel 1947, la società è collocata tra i titoli automobilistici, ma in realtà può essere considerata appartenente anche al comparto del lusso, di cui è uno dei marchi leader a livello mondiale. Il titolo Ferrari è quotato a Wall Street dall’ottobre 2015 e dal gennaio 2016 al listino di Piazza Affari, dove è una delle 40 blue chips che formano il paniere dell’indice Ftse Mib. Scambiato attualmente a poco più di 342 euro per azione, il titolo presenta un calo di oltre il 16% rispetto a un anno fa, dopo aver toccato il 18 febbraio scorso il suo massimo annuale (che è anche massimo storico) di 492,8 euro. Dopo la presentazione, lo scorso 4 novembre, dei risultati dei primi nove mesi dell’anno, gli analisti hanno migliorato i precedenti giudizi sul titolo. Mercoledì 5 novembre si sono pronunciati gli esperti di Deutsche Bank ed Equita Sim: in entrambi i casi sono state confermate le precedenti valutazioni (rispettivamente buy, comprare, e hold, mantenere in portafoglio) innalzando nel contempo il target-price (a 460 euro e 385 euro). Mercoledì 12 novembre, invece, ha iniziato la copertura sul titolo la banca d’affari JP Morgan, con la raccomandazione overweight (sovrappesare) e un obiettivo di prezzo di 394 euro. L’analisi tecnica di Teleborsa, riferendosi alla chiusura di martedì 18 novembre (342,2 euro), ha previsto un primo supporto di 333,3 euro e un secondo di 324,5 euro, mentre sul fronte rialzista ha collocato la prima resistenza a 359,9 euro e la seconda a 386,5 euro.
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