Se da un lato la guerra commerciale avviata dall’amministrazione Trump ha raffreddato l’appeal degli asset in dollari, dall’altro ha orientato l’attenzione degli investitori verso Est, in particolare verso la Cina. Nel solo mese di aprile, Pechino ha registrato afflussi per 17,3 miliardi di dollari nei propri mercati azionari e obbligazionari, segno tangibile di una fiducia crescente da parte della finanza internazionale. Una fiducia che si fonda sulla performance del Pil cinese, cresciuto del 5,4% nel primo trimestre. A rassicurare sono anche i nuovi stimoli fiscali messi in campo da Pechino per rafforzare la domanda interna. Tuttavia, il quadro resta complesso. La crisi immobiliare – non ancora risolta – continua a gravare sull’economia, mentre la debolezza dei consumi interni lancia segnali d’allerta. A ciò si aggiungono le tensioni con gli Stati Uniti, che hanno concesso solo una tregua temporanea di 90 giorni, senza giungere a una soluzione strutturale. Tant’è che gli effetti delle tensioni si sono già fatti vedere: l’attività manifatturiera cinese ha subito un rallentamento ad aprile e si registra una contrazione sul fronte occupazionale. Gli analisti di Barclays mantengono un approccio prudente: «Considerati i problemi strutturali nei rapporti commerciali tra Pechino e Washington, ci aspettiamo progressi discontinui nei negoziati», affermano, stimando una crescita cinese del 4% per l’intero 2025, al di sotto del consenso di mercato. Più ottimista Comgest, che ritiene possibile il raggiungimento dell’obiettivo del 5% fissato da Pechino, grazie al potenziale impatto positivo delle misure di stimolo. «A lungo termine – sottolinea Jimmy Chen, gestore del fondo Growth China – la Cina continuerà a investire nello sviluppo tecnologico e nell’ammodernamento industriale».
L’india avanza
Nel grande scacchiere asiatico, non è solo la Cina a catturare l’interesse della comunità finanziaria. L’India si sta imponendo come nuova stella dei mercati emergenti, scelta dai gestori di fondi che vedono il Paese come un potenziale beneficiario dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per la serie: tra i due litiganti il terzo gode. Secondo un sondaggio di Bank of America Securities, il 42% dei gestori globali ha una posizione sovrappesata sul mercato azionario indiano, contro il 39% del Giappone e appena il 6% della Cina. Una tendenza che rispecchia la crescente fiducia verso il subcontinente indiano come destinazione d’investimento stabile in un contesto globale incerto.
«Il tema dei dazi è molto meno rilevante per l’India rispetto alla Cina», osserva Marco Piersimoni, co-head euro multi asset di Pictet Asset Management. «L’economia indiana è meno esposta all’export e più focalizzata sul mercato interno, e questo la rende più resiliente alla volatilità del commercio internazionale».
Non è un caso che grandi multinazionali come Apple abbiano deciso di spostare parte della produzione – come quella degli iPhone – dalla Cina all’India. Una mossa che riflette il più ampio processo di riallineamento delle catene globali di fornitura, innescato dai contrasti commerciali tra le due superpotenze. Tuttavia, gli equilibri restano fragili. Un eventuale accordo commerciale favorevole tra Stati Uniti e Cina potrebbe rimettere in discussione la nuova centralità dell’India e deviare nuovamente i capitali verso Pechino.
Tra rally e frenate
Negli ultimi anni, il dualismo tra Cina e India ha plasmato l’andamento dei mercati emergenti. Durante la pandemia, l’India ha beneficiato di un rally sostenuto che ha gonfiato le valutazioni fino a livelli considerati da molti gestori eccessivi, mentre la Cina affrontava difficoltà persistenti. Ma a metà 2024, l’interesse degli investitori ha cominciato a virare nuovamente verso la Cina, sospinto da notizie incoraggianti. Con l’inizio del 2025, le carte si sono rimescolate ancora: l’India ha guadagnato terreno sulla Cina, sovraperformandola di 8 punti percentuali a marzo. Il divario si è ampliato fino a 17 punti percentuali nei due mesi successivi, sulla scia dell’inasprimento delle tensioni tra Washington e Pechino.
«Il mercato azionario indiano è storicamente caratterizzato da valutazioni elevate, da una forte presenza di investitori domestici e da una composizione settoriale che non rappresenta affatto la forza dell’economia indiana – illustra Piersimoni – .Il mercato cinese è invece più ciclico, con una presenza significativa di giganti tecnologici e di società finanziarie e industriali contigue allo Stato».
In tandem
Le oscillazioni tra i due colossi asiatici hanno generato ampi scostamenti di performance nei fondi emergenti. Per questa ragione, è bene muoversi su entrambi, combinandoli in un portafoglio complessivo. «E’ molto promettente l’investimento in queste due aree del mondo su tutta la struttura di capitale: azioni, obbligazioni, corporate e valute. Ma è essenziale mantenere una diversificazione rigorosa”, suggerisce, l’esperto di Pictet AM. Perché, ricorda, le tendenze del mercato non durano per sempre.
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