Nessuno scossone quando Donald Trump aveva spedito la lettera con dazi al 30%, nessun entusiasmo eccessivo per l’accordo scozzese al 15 per cento. Le principali Borse europee hanno avviato col segno più la seduta, con l’azionario milanese che segna i guadagni maggiori rispetto alle controparti, ma senza rialzi clamorosi: il Ftse Mib avanza dello 0,94% vicino ai 41.000 punti (toccati in avvio i nuovi massimi dal 2007 a 41.210 punti), e l’Ibex di Madrid dell’1,1%, seguiti dal Cac di Parigi a +0,875% e dal Dax di Francoforte a +0,33%. Il Ftse 100 di Londra tratta poco mosso a +0,12%.
Nonostante l’ottimismo dei mercati, non sono mancate le dure critiche all’accordo, come quella del premier francese, Francois Bayrou, che su X ha scritto: “E’ un giorno buio quando un’alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi”.
Né Washington né Bruxelles hanno pubblicato un testo ufficiale dell’accordo. Di conseguenza, permangono diversi interrogativi, specie su alcuni settori chiave. Le auto e i ricambi saranno soggetti al 15%, un dato considerato positivo rispetto al precedente 25%. Sul comparto farmaceutico regna però incertezza. “La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto che anche i farmaci generici rientreranno nei dazi al 15%, mentre il presidente Usa Donald Trump ha sostenuto il contrario. Fonti ufficiali Usa hanno poi confermato la versione europea, precisando però che una nuova indagine (Sezione 232) sul settore pharma partirà entro tre settimane”, osservano gli strategist, evidenziando che ciò implica il rischio imminente di un ulteriore aumento delle tariffe sui prodotti farmaceutici. Anche sull’acciaio e sull’alluminio mancano certezze. Von der Leyen ha parlato di un taglio dei dazi e dell’introduzione di un sistema di quote, mentre Trump ha ribadito che la tariffa resta al 50%. In compenso, zero dazi su aeromobili, semiconduttori, alcune sostanze chimiche e prodotti agricoli, con l’intenzione di ampliare la lista in futuro.
Ponti (Federvini): “aliquota alta, quanto meno c’è chiarezza”
I costi a carico delle imprese italiane rischiano comunque di essere assai elevati. “Un’aliquota al 15% penalizza molto alcune filiere come quelle del vino, che avevano dazi significativamente inferiori, e meno altre che avevano già questi valori», sottolinea Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia. Per il presidente di Federvini Giacomo Ponti “Quanto meno c’è chiarezza. Il 15% è un’aliquota abbastanza alta, sarebbe stato meglio accordarsi su numeri inferiori. Auspichiamo che ci siano categorie esentate e che siano quelle che riguardano i nostri prodotti, perché alcuni, come i vini Docg, Doc, Igt oppure l’aceto balsamico di Modena Igp, non si possono produrre negli Stati Uniti. Serve anche capire come saranno modulati”. Relativamente all’impatto che le tariffe avranno, “in linea generale, il prodotto mainstream soffrirà di più rispetto al prodotto di lusso. Tutto si gioca sulla sostituibilità, sulle alternative, e sull’unicità del prodotto nella percezione del consumatore”.
Per Federacciai “non c’è molto da festeggiare. Per un Paese esportatore come l’Italia anche il 15% è un problema. Inutile girarci intorno. Sono tariffe a cui poi, come sottolinea Confindustria, si somma la svalutazione del dollaro. Rappresentano un elemento negativo, nonostante i timori che la percentuale imposta dagli Stati Uniti potesse anche essere maggiore.
Tira un sospiro di sollievo il settore dei trasporti, inteso come auto, motori, navi e componentistica. Per l’Italia vale 7 miliardi di euro di export se si considera il dato aggregato fornito da Unimpresa. All’interno, la sola voce di vetture e componenti vale circa 5 miliardi di euro, a cui si sono applicate finora tariffe del 27,5%. Uno «sconto» per l’automotive con dazi al 15% comporta sovra-costi importanti, ma pari a 750 milioni anziché 1,2 miliardi. Nel complesso, il settore subirà danni per 1,05 miliardi di euro.
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