Paolo Scaroni, attualmente presidente del gruppo Enel, è uno dei manager di maggior successo della storia recente del nostro Paese. Ha guidato l’Eni ricevuto in molti Paesi produttori di petrolio come una sorta di capo di Stato, ottenendo traguardi straordinari in tutto il mondo. È stato anche vittima di una persecuzione giudiziaria conclusa con la sua piena assoluzione e con la condanna dei pubblici ministeri – Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro – che lo accusavano, per avere deliberatamente nascosto prove a suo favore. Da sette anni è il presidente del Milan oltre a essere stato il protagonista della lunga battaglia per il nuovo stadio che sorgerà nel cuore di Milano.
Un percorso che il club rossonero – guidato dal fondo RedBird Capital Partners, che negli impianti all’avanguardia ha competenze e un’expertise d’eccellenza internazionale – ha portato avanti insieme all’Inter e all’amministrazione pubblica milanese, fino alla meta raggiunta con la firma del rogito avvenuta lo scorso 5 novembre.
Presidente Scaroni, la conquista del nuovo stadio non è stata una passeggiata. Ma sarà davvero la grande opera che rilancia Milano?
«Può rappresentare il motore di un nuovo scatto per la crescita della città, come lo furono CityLife e Porta Nuova: due casi-simbolo di rigenerazione e sviluppo urbano contemporaneo che hanno contribuito a ridisegnare Milano e a rafforzarne l’immagine internazionale».
Quando è iniziata la sua battaglia per il nuovo o stadio?
«Ho iniziato a occuparmene nel 2018, appena nominato presidente del Milan. Avendo visto gli stadi di molte grandi città nel mondo, ho capito subito che San Siro non era più adeguato: oggi è uno stadio fuori dal tempo».
Perché?
«Per molte ragioni. A partire dall’esperienza che oggi non è all’altezza di ciò che promette. Le assicuro che vedere le partite nel nuovo impianto, sarà magnifico: avrà 71.500 posti, con gradinate più vicine al campo, pendenze spettacolari, sedute più confortevoli e soprattutto tecnologia Led su vari anelli con grandi maxischermi. Di là delle critiche, sarà pienamente accessibile, con aree per famiglie e massima sicurezza. E ci permetterà di sviluppare l’area premium dedicata alle aziende, che potranno offrire ai propri clienti un’esperienza esclusiva e davvero unica».
Una delle ragioni che spingono verso il nuovo è che un’attività come lei sta descrivendo dovrebbe produrre incassi significativi. Ma è davvero così?
«Sì, posso assicurare che almeno il 10% degli incassi deriverà da queste attività. Secondo la mia esperienza, spesso anche di più. Allo stadio Meazza di San Siro è impossibile farla evolvere oltre il contributo attuale».
Quindi, attenzione soprattutto agli spettatori premium?
«No, a tutti gli spettatori. Sul punto ci sono troppe fake news. È bene precisare che i posti premium così concepiti ci permetteranno di mantenere prezzi accessibili per tifosi e famiglie. Vogliamo costruire un’icona moderna, multifunzionale e sostenibile, facendo leva sulla visione e l’expertise di Gerry Cardinale e di RedBird. Lo stadio sarà un luogo da vivere prima, durante e dopo la partita, con spazi per attività, giochi per bambini, bar, ristoranti e servizi di varia natura».
Funzionerà anche nei giorni senza partite?
«Vogliamo uno stadio vivo tutta la settimana, non solo quando si gioca. Non inventiamo nulla di nuovo: porteremo a Milano ciò che già esiste a Londra, Monaco, Madrid. E vogliamo farlo ancora meglio».
Quali difficoltà ha incontrato in questi anni?
«Le obiezioni sono state due. La prima: “State abbandonando lo stadio di San Siro, la Scala del calcio…”. È una posizione comprensibile ma dettata dalla nostalgia, che però rischia di frenare il progresso. La seconda: “Perché non ristrutturate San Siro?”. Abbiamo spiegato a lungo che una ristrutturazione profonda sarebbe stata impossibile: a San Siro si giocano tre partite a settimana tra campionato e Coppe, e trasformarlo in un grande cantiere sarebbe stato impraticabile».
Non si è mai scoraggiato?
«Abbiamo vissuto anni difficili, pedalando in salita, durante i quali è stato necessario insistere e spiegare con pazienza le nostre ragioni. L’opinione pubblica inizialmente era riluttante, e di conseguenza anche l’amministrazione comunale lo era».
Quando è cambiato il vento?
«Quando i nostri tifosi e l’opinione pubblica hanno iniziato a rendersi conto che altrove gli stadi erano moderni e funzionali. Le immagini dei Mondiali in Qatar, degli impianti tedeschi, di quelli inglesi e del Real Madrid hanno fatto riflettere molti: forse la nostra “Scala del calcio” è un po’ invecchiata».
Qual è stato il momento decisivo per arrivare alla meta?
«All’inizio di quest’anno l’amministrazione comunale ha deciso di vendere lo stadio. L’interlocuzione con il sindaco Giuseppe Sala, il ministro Alessandro Giuli e la Sovrintendenza è stata fondamentale. Quella decisione è stata la svolta che ha permesso di completare il percorso che ci ha visto in grande sintonia con l’Inter e la proprietà Oaktree, rappresentata nel progetto da Kathrine Ralph».
Cosa dobbiamo aspettarci in termini di ritorno economico per Milan e Inter?
«Ci aspettiamo una crescita dei ricavi da stadio simile a quella di club come Tottenham, Arsenal o Real Madrid, che hanno raddoppiato i valori con un nuovo impianto, senza aumentare i prezzi dei biglietti popolari».
E le ricadute sulla città?
«Secondo uno studio Ambrosetti, l’impatto socioeconomico sarà rilevante: in fase di costruzione muoverà oltre 4,5 miliardi di euro. Per ogni euro investito, ci sarà un ritorno di 2,5 euro. Le ricadute in Lombardia saranno di 3 miliardi, di cui non meno di 950 milioni nella Città Metropolitana di Milano. A stadio operativo, il beneficio stimato per il territorio supererà 3 miliardi l’anno».
Ci saranno benefici anche in termini occupazionali?
«Sì. In fase di costruzione si creerà lavoro per oltre ottomila persone a tempo pieno, e in quella di operatività per più di sedicimila. Aggiungo a ciò che il progetto donerà alla città un quartiere tutto nuovo, con molto verde, moderno, vivibile».
Quali sono i tempi?
«Ora entriamo nella fase di progettazione, affidata a Norman Foster e David Manica, garanzia di un risultato eccellente. Seguirà un anno di progettazione di dettaglio, poi la Conferenza dei Servizi con Comune e Regione per il permesso di costruire. L’obiettivo è avviare i lavori nei primi mesi del 2027 e completarli in tre anni, in tempo per ospitare gli Europei del 2032. Successivamente partirà la riqualificazione dell’area del vecchio Meazza, con la realizzazione tra le altre di un albergo, le sedi dei due club, un centro commerciale e il museo di Milan e Inter. Contiamo che anche in questa nuova veste l’area attrarrà almeno mezzo milione di visitatori l’anno».
Nonostante il suo ottimismo, ogni giorno apprendiamo di ostacoli burocratici o giudiziari. Ci sono rischi di rallentamenti?
«Non credo. Dopo la decisione del Comune di procedere, tutto si è mosso in modo efficiente. La procedura adottata – prevista dalla legge stadi – prevede la raccolta delle manifestazioni di interesse, quindi non c’è stata alcuna gara e soprattutto nessuna possibilità di turbativa».
Si riuscirà a colmare il divario economico con i club inglesi?
«Il gap deriva da due fattori: i ricavi da stadio – che possiamo colmare – e i diritti tv internazionali. La Premier League vende diritti internazionali per 2,2 miliardi, la Serie A per 200 milioni. Chi vince il campionato italiano incassa per diritti televisivi meno dell’ultima classificata in Inghilterra. Anche qui l’esperienza di Gerry Cardinale – che, insieme a SkyDance, ha recentemente acquisito Paramount – può essere un grande valore aggiunto per l’intero sistema».
Come si può ridurre questa distanza?
«La Serie A deve tornare a essere la lega più ambita dai grandi campioni. Il primo passo è costruire stadi moderni, accoglienti e sostenibili: da lì può ripartire non solo il calcio italiano, ma un nuovo modo di vivere lo sport nel nostro Paese».
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