Non è ancora finito l’anno, ma un nuovo record è già stato segnato in Italia. Non si tratta di Borsa, oro o criptovalute. Ma un modello in rapida espansione che secondo le proiezioni potrebbe esplodere nel prossimo futuro come investimento alternativo. Con ricadute anche sul tessuto imprenditoriale. È il search fund, tradotto letteralmente: fondo di ricerca, anche se non è proprio un fondo. Un nome ancora poco noto, almeno qui, dai numeri piccoli ma, a quanto pare, dal potenziale enorme. Si tratta, sostanzialmente, di un modello di investimento innovativo che permette a una o due persone (i ricercatori, da cui il nome “search”) di raccogliere capitale da un gruppo di investitori per identificare e acquisire una piccola e media impresa, spesso in fase di successione generazionale. L’obiettivo è di gestirla nel medio-lungo termine (in genere tra i 5 e i 7 anni), farla crescere e infine rivenderla generando un rendimento. E che rendimento. Uno studio condotto da Stanford su ben 681 fondi di ricerca costituiti negli Stati Uniti e in Canada dal 1984 al 2024 ha rilevato che il loro tasso medio di rendimento è di circa il 35%, con un ritorno pari a 4,5 volte l’investimento.
Come funziona in pratica
Il modello del search fund è nato Oltreoceano negli anni ’80 con l’obiettivo di facilitare l’incontro tra manager e investitori alla ricerca di opportunità di acquisizione di pmi con l’obiettivo di farle crescere e uscirne con un profitto, attraverso una quotazione in Borsa oppure vendendola.
Negli anni ha ottenuto una crescente attenzione nel contesto europeo, in particolare in Spagna, come soluzione per rinvigorire il tessuto imprenditoriale. Il modello infatti rappresenta sulla carta una triplice opportunità: ai manager dà la possibilità di diventare amministratori senza dover investire tutto il capitale; alle aziende offre una soluzione concreta alla successione imprenditoriale; agli investitori, infine, l’accesso a rendimenti elevati, impiegando capitali nell’economia reale, con un rischio più contenuto rispetto al venture capital. Perché a differenza delle startup, qui non si parte da zero: le aziende target sono realtà consolidate, con clienti, ricavi e prodotti già validati.
Naturalmente, il modello richiede risorse significative e non è privo di rischi, tra cui quello di non trovare un’azienda adatta da acquisire, con la conseguente perdita dell’investimento iniziale. Tuttavia, i dati rassicurano: «Se negli Stati Uniti circa un fondo su tre non arriva all’acquisizione, in Europa il tasso di insuccesso è molto più basso, con solo un caso su dieci», sottolinea Paolo Guida, investitore in search fund e partner di ETA Fund.
Italia, terreno fertile
In Italia, la prima iniziativa in questo ambito risale al 2016, ma è solo dal 2024 che si è assistito a un’accelerazione vera e propria. Anche se siamo ancora lontani dai numeri della Spagna, dove si contano 67 fondi attivi e 34 acquisizioni (dati Iese), il trend lascia intravedere margini di espansione enormi. Quest’anno in Italia si contano già 15 ricerche attive, 12 acquisizioni concluse e una prima uscita, secondo l’osservatorio redatto dal Politecnico di Milano. Dati che, nel 93% dei casi, hanno portato effettivamente a un’acquisizione, un tasso di successo superiore alla media globale, che si ferma al 79%. Un segnale chiaro di quanto il modello si adatti al contesto italiano.
La nostra economia ha la seconda più ampia popolazione di pmi in Europa, responsabili del 41% del fatturato nazionale. Inoltre, il nostro è il secondo Paese più anziano del mondo dopo il Giappone: oltre il 70% delle medie imprese è a conduzione familiare e il 40% degli imprenditori ha più di 65 anni. In circa tre quarti dei casi, le famiglie stanno cercando soluzioni di liquidità per affrontare il tema della successione. Secondo l’Osservatorio AUB, solo il 30% delle aziende familiari arriva alla seconda generazione, appena il 13% alla terza. A tutto questo si aggiunge il fenomeno della fuga di cervelli, con oltre 37mila laureati che ogni anno lasciano l’Italia. Il risultato è un potenziale straordinario per attrarre nuovi talenti e affidare loro la guida di imprese già redditizie.
Gli ultimi sviluppi
Tra le realtà più recenti, spicca ETA Fund I, il primo fondo istituzionale italiano dedicato ai search fund, lanciato da Eureka! Venture. Al suo interno, Columbus Capital, focalizzato su pmi del Sud Europa nei settori green ed energetico, con un target tra i 15 e i 20 milioni di euro di fatturato. C’è poi il neonato Big Tower Group, guidato dalla coppia imprenditoriale Antonino Emanuele e Carla Abis, che dopo aver raccolto 500.000 euro è ora alla caccia di un’azienda familiare con margini superiori al 10% e ricavi tra i 5 e i 40 milioni di euro.
«L’Italia è oggi il mercato più interessante in Europa per i search fund. – conclude Guida – Nei prossimi anni, sarà interessante monitorare le strategie di uscita e i rendimenti effettivi ottenuti per valutare appieno la sostenibilità e la scalabilità del modello nel lungo termine».
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