A metà novembre 2024, con una sola mossa, il Tesoro aveva blindato l’italianità del Monte di Paschi e delineato la strada per dare vita ad un terzo grande polo bancario e del risparmio italiano, attraverso l’integrazione tra il Banco Bpm, Anima e una Mps felicemente risanata dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio.
Novembre 2024: le basi del terzo polo e poi l’entrata in scivolata di Orcel
La cessione del 15% di Siena a un partner industriale – il polo Banco Bpm-Anima – scortato da due solidi soci imprenditoriali – il gruppo Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio – era stata festeggiata dalla Borsa, dove le tre società avevano superato i 20 miliardi di capitalizzazione aggregata, con altro valore da estrarre, secondo gli analisti, in caso di nozze. Tutti contenti: Mps, ma anche la banca guidata da Giuseppe Castagna, autore di un “uno-due”, l’Opa su Anima e l’affondo su Mps, e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, autore di “un’operazione di politica bancaria e finanziaria italiana volta a rafforzare l’azionariato di un player importante nel mercato del credito in modo serio e riservato”.
Quattro piccioni con una fava: soci italiani stabili, prospettiva industriale, chiusura dei conti con l’Europa e una bella plusvalenza.
Poi, il 25 novembre a sparigliare le carte ecco arrivare Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit che alle 6 del mattino pubblica a sorpresa una nota in cui annuncia il lancio di un’offerta pubblica di scambio volontaria da 10 miliardi sulla totalità delle azioni di Banco Bpm.
Laureato alla Sapienza di Roma con una tesi sulle scalate ostili, proprio il mestiere che riuscirà a praticare per vent’anni alla Merrill Lynch e poi all’Ubs, consigliando i grandi banchieri del mondo a scegliere il momento giusto per scagliarsi sulla propria preda. Che in quei giorni era già la tedesca Commerzbank con un’operazione già impantanata per lo stallo delle discussioni tra gli stakeholders del gruppo in vista delle allora imminenti elezioni in Germania (che si sono tenute poi a febbraio con la vittoria di Friedrich Merz, anch’egli nettamente contrario all’avanzata degli italiani).
Orcel muove, dunque, sul Banco, sottolineando che con la fusione Unicredit sarebbe diventata la terza banca europea per capitalizzazione di mercato. E segna già le tappe: documento alla Consob entro 20 giorni, richieste di autorizzazioni alle autorità italiane ed europee, assemblea ad aprile 2025 e possibile chiusura dell’operazione a giugno. Non è andata così. Come Orcel ha sparigliato i piani del governo, il governo ha sparigliato quelli di Orcel.
Aprile 2025: Roma irrompe con il golden power
Il 18 aprile 2025 il Consiglio dei ministri ha deliberato di esercitare, a tutela di interessi strategici per la sicurezza nazionale, i poteri speciali nella forma dell’imposizione di specifiche prescrizioni, in relazione all’Ops lanciata dall’istituto di Piazza Gae Aulenti. In particolare i paletti riguardano le sedi e il perimetro dell’eventuale cessione di sportelli e soprattutto la presenza di Unicredit in Russia. Tema che per il Mef resterà centrale fino agli ultimi mesi. Unicredit allora bussa alla porta della Consob chiedendo di “congelare” l’offerta per avere più tempo per affrontare le prescrizioni del Golden Power. Il 21 maggio la Consob accoglie la richiesta e sospende l’Ops per 30 giorni, il periodo massimo che le è consentito. Luglio 2025: settimane
La conclusione dell’offerta, avviata intanto il 28 aprile, slitterà al 23 luglio, con la possibilità per Orcel di attendere fino alla fine del mese prima di decidere se rilanciare o accettare le azioni. Dura la reazione del Banco, che da novembre si trova sotto passivity rule per effetto di quella che ha bollato come una “non offerta” a sconto sui corsi di Borsa. Scattano i ricorsi al Tar, quello di Unicredit per smontare il golden e quello di Piazza Meda che punta ad ottenere la sospensiva della delibera Consob. Il 12 giugno il Tar respinge la richiesta di Banco Bpm, sette giorni dopo arriva il disco verde dell’Antitrust Ue all’acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit, subordinata al pieno rispetto degli impegni assunti.
Il 12 luglio i giudici amministrativi accolgono parzialmente il ricorso con il quale Unicredit contestava la legittimità del golden power esercitato dal governo per l’Ops . Due gli specifici punti di accoglimento: quello che impone di “non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impeghi/depositi praticato da Banco Bpm e UniCredit in Italia, con l’obiettivo di incrementare gli impieghi verso famiglie e PMI nazionali”, esclusivamente con riferimento al profilo temporale; e quello relativo al mantenimento del livello del portafoglio di project finance. Nessun rilievo invece su altri due aspetti del golden power che chiedono di “mantenere il peso attuale degli investimenti di Anima in titoli di emittenti italiani” e fissano i tempi per l’uscita delle attività finanziarie di Unicredit nella Federazione Russa.
Il 14 luglio si apre un nuovo fronte tra l’Italia e la Commissione europea: Bruxelles ha inviato all’Italia un parere preliminare in cui solleva dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione, aprendo a un potenziale contenzioso formale. Il 22 luglio arriviamo all’ultimo atto di questa vicenda lunga otto mesi: la Consob sospende nuovamente per 30 giorni l’Ops (a 24 ore dalla sua scadenza), considerato la “sentenza del Tar e la valutazione espressa dalla Commissione Ue”, la “situazione di incertezza creatasi non consente ai destinatari, allo stato di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta”. Passano poche ore e poi arriva l’annuncio e l’ennesimo colpo di scena: il cda di Unicredit annuncia il ritiro dell’offerta per Banco Bpm, in quanto la condizione relativa all’autorizzazione Golden Power non è soddisfatta.
Orcel quindi si arrende e ferma le sue truppe nel risiko bancario? Difficile crederci.
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