Ogni mattina, prima delle borse asiatiche e dopo il primo sorso di Coca-Cola alla ciliegia, Warren Buffett apre il giornale e legge. Nessuna piattaforma online, nessun algoritmo, nessuna notifica sul cellulare (che ancora – pare – fatica a usare). Solo carta stampata e la calma di chi ha visto tutto e non si lascia impressionare da nulla. Men che meno dalle ultime fibrillazioni dei mercati azionari a livello globale. Mentre l’alta finanza rincorre le startup, le avanguardie dell’intelligenza artificiale e lei criptovalute, lui continua a vivere nella stessa casa dal 1958, a Omaha, nel Nebraska. Un’abitazione acquistata per 31.500 dollari: uno dei suoi affari.
“L’oracolo di Omaha“, come l’hanno soprannominato per la sua capacità di comprendere i mercati finanziari e di fare investimenti di successo nel lungo termine, è una figura quasi anacronistica eppure ammantata di un costante fascino. Soprattutto ora, dopo la sua ultima mossa: la decisione di lasciare dal 2026 il timone della sua creatura, Berkshire Hathaway, pur restando presidente del consiglio d’amministrazione della holding.
A 94 anni, con un patrimonio di oltre 130 miliardi di dollari, Buffett è molto più che un investitore: è un’istituzione, una figura assurta quasi al ruolo di guru della finanza e degli investimenti anche a motivo delle sue espressioni più celebri. “Il prezzo è quello che paghi, il valore è quello che ottieni”, ad esempio. Ma l’imprenditore americano dei record è anche un paradosso vivente. È il multimiliardario che pranza da McDonald’s, l’azionista di Apple che si rifiuta di usare un iPhone, il filantropo che promette di donare tutto prima di morire.
A chi lo incontra per la prima volta, Buffett appare più come il nonno ideale che come un magnate della Borsa. Niente entourage, niente cravatte griffate e grisaglie da lupo di Wall Street: solo una parlantina brillante, qualche battuta secca e la convinzione incrollabile che l’America sia ancora il miglior posto dove investire. Tutte caratteristiche innate che hanno accompagnato una carriera sfolgorante fatta anche e soprattutto di grandi operazioni entrate nei manuali di finanza. Memorabile fu l’acquisto di American Express negli anni ’60, in pieno scandalo “salad oil”, quando il mercato dava la società per spacciata: fu il primo grande colpo del giovane investitore Warren, che intuì il potenziale intangibile del brand.
Nei decenni successivi seguirono altre mosse ragguardevoli: l’acquisizione di Geico, compagnia assicurativa oggi colonna portante di Berkshire; il massiccio investimento in Coca-Cola nel 1988, quando tutti guardavano altrove; e la scelta di entrare in Apple nel 2016, decisione inizialmente criticata da chi lo riteneva troppo vecchio per la tecnologia, ma che si è rivelata la più redditizia della sua carriera. Buffett ha anche mostrato grande tempismo durante la crisi finanziaria del 2008, quando investì miliardi in Goldman Sachs e Bank of America, ottenendo condizioni vantaggiose da “investitore di ultima istanza”.
Non tutte le scommesse di Buffett, tuttavia, sono state vincenti. Storicamente restio a puntare sulla tecnologia, l’investitore più famoso al mondo evitò per anni colossi come Amazon e Google, riconoscendo poi l’errore. Negli anni 2000 investì in Tesco, catena britannica della grande distribuzione, salvo poi dismettere con perdite significative. Più di recente, l’ingresso in Kraft Heinz ha mostrato crepe nella strategia: fusioni forzate e scelte manageriali discutibili hanno intaccato i ritorni attesi. Ma per Buffett, come dice lui stesso, “puoi sbagliare ogni tanto, l’importante è non perdere mai la disciplina“.
E proprio la disciplina, unita a una visione di lungo periodo e a un innato fiuto per il valore nascosto, è ciò che più di ogni altra cosa definisce la filosofia di Warren Buffett. Un modus operandi che ha resistito a decenni di euforie speculative, crisi finanziarie globali e cambi di paradigma economico. Anche oggi, mentre la finanza globale si confronta con l’inarrestabile ascesa di asset emergenti e con una diffusa instabilità geopolitica, Buffett resta fedele alla sua bussola: investire solo in ciò che si comprende, puntare su aziende solide e lasciar lavorare il tempo.
Nel 2026, quando passerà ufficialmente il testimone operativo di Berkshire Hathaway, Buffett non abbandonerà comunque la scena, ma continuerà a vigilare sull’eredità costruita in oltre sessant’anni di attività. Lo farà a modo suo, tra una lattina di Cherry Coke e un bilancio annuale, con lo stesso sguardo disincantato che ha reso le sue lettere agli azionisti dei piccoli capolavori di saggezza finanziaria. Perché Warren Buffett non è solo “l’oracolo di Omaha”: è la memoria vivente di un capitalismo paziente, coraggioso, astuto e a tratti cinico. E anche nel mondo che cambia, c’è ancora chi guarda a lui per capire dove andare.
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