Sempre più italiani entrano in farmacia, sempre più farmacisti ne escono. Il primo presidio sanitario di prossimità, diventato centrale dopo la pandemia grazie al boom di vaccinazioni (che prosegue) vive un paradosso. «Faccio fatica a trovare chi vuole lavorare dietro il bancone», ci dice il titolare di una storica farmacia in centro a Milano che non vuole pubblicità. I laureati in Farmacia sono calati del 20% e solo due su trenta sognano di lavorare in una delle oltre 13mila farmacie: troppi adempimenti burocratici, stipendi poco allettanti (si parte da 1.700 netti per 14 mensilità) turni, festività, domeniche lavorative e orari massacranti da chi preferisce dedicare più tempo alla propria vita privata, anche da 60 ore settimanali (complice la liberalizzazione).
Le trattative sul rinnovo contrattuale sono bloccate, l’Ordine dei farmacisti prova a mediare. Manca circa il 20% della forza lavoro, eppure su oltre 100mila professionisti, quelli in cerca di lavoro sono l’1,6%. C’è chi lavora a gettone per coprire le notti e chi preferisce la libera professione a chiamata, proprio quando il 95,2% degli italiani, secondo il Rapporto Federfarma-Censis 2025, chiede di potenziare un servizio di «fiducia» (per il 60%) e frequentato almeno una volta al mese da un italiano su due, con una media di una ogni 2.938 abitanti (la media Ue è una ogni 3.300).
A margine del rapporto Censis è stato il presidente di Assofarm Luca Pieri chiede «una loro maggiore integrazione in un Ssn sostanzialmente da riformare». Negli ultimi cinque anni le farmacie con una distribuzione a macchia di leopardo si sono trasformate in una sorta di «ecosistema multidisciplinare», capace di offrire farmaci, consulenze, prevenzione e benessere, anche se non tutti gli possono scegliere il medico di base o il pediatra, ricevere medicinali e presidi Asl, fare test per colesterolo, ipertensione o diabete, prenotare visite ed esami, servizi di telemedicina, prestazioni infermieristiche o domiciliari. «Sarà nostro impegno far leva affinché tutte arrivino ad aderire, come richiesto dai cittadini», annuncia il presidente di Federfarma nazionale, Marco Cossol. «La sanità di prossimità non è solo una questione di logistica o tecnologia. È un vero e proprio cambio di paradigma – spiega il neo viceministro alla Sanità Marcello Gemmato – un alleato indispensabile per rafforzare e rendere più efficiente questo nuovo modello».
E qualcosa si sta già muovendo. Nel Lazio, con lo sblocco dei fondi per la telemedicina, le farmacie erogano ora gratuitamente esami Ecg e holter rimborsati dal Ssn per consentire agli anziani di accedere a servizi affidabili «sotto casa», senza file o attese. È già possibile un primo screening preliminare come colesterolo e glicemia «ma tramite analisi capillare. Non vogliono sostituirsi ai prelievi ematici completi, ma possono rappresentare un primo segnale di allarme», spiega Andrea Cicconetti, che guida Federfarma Roma.
Altre farmacie come nelle Marche si sono offerte di somministrare vaccini preventivi. A Roma è attiva una sperimentazione con i fisioterapisti per offrire consulenze e orientamento terapeutico. Nelle 3.046 farmacie lombarde (2.114 urbane e 932 rurali) che occupano 14mila addetti è possibile scegliere medico e pediatra di base o lo screening del colon. Le vaccinazioni sono aumentate del 30%, nei primi sei mesi sono state erogate in tutto 79.240 prestazioni (+16% rispetto al 2024).
Servono inevitabilmente nuove figure, il governo ha anche semplificato l’accesso alla professione per i farmacisti stranieri anche per drenare l’emorragia denunciata da tempo dal presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani Andrea Mandelli. Servono infermieri e nutrizionisti, alcuni professionisti sono reclutati a gettone, «tra i 30 e i 40 euro l’ora», ci dice un altro titolare di farmacie che ne ha dovuti ingaggiare due. «Sono una risorsa flessibile e competente, che consente di garantire la continuità del servizio «Queste dinamiche di rallentamento occupazionale non possono essere ignorate, sono sinonimo di una carenza strutturale non sanabile in pochi anni», sottolinea però Cicconetti.
La crisi sfiora anche le farmacie a gestione familiare. Il sindaco di Barlassina Paolo Vintani dopo 40 anni conserva un’unica ambizione, «difendere una professione e una professionalità». La sua famiglia è alla 14ma generazione con il figlio, nel suo laboratorio galenico sogna «farmaci su misura e terapie personalizzate per malati cronici, per evitare errori di somministrazione». Davanti al suo bancone passano anziani soli, emarginati, familiari e caregiver in grande difficoltà: «Noi viviamo la malattia giorno dopo giorno, la gestione dei pazienti può essere devastante, non lo dico solo da sindaco ma sono realtà di vicinato con un ruolo sociale».
C’è anche lui dietro l’intuizione dell’articolo 11 della Legge 69/2009 firmata dall’allora ministro della Salute Ferruccio Fazio, che sancisce la nascita della Farmacia dei servizi, come ricorda la presidente di Federfarma Lombardia Annarosa Racca, ispiratrice dell’emendamento di due parlamentari lombardi e pioniera di questa iniziativa a metà degli anni Novanta. «Con le piattaforme del servizio sanitario regionale sappiamo tutto di tutti», sottolinea la Racca, che auspica un maggiore coinvolgimento di professionalità come i biologi. L’obiettivo di legislatura sono le Case di comunità un’alleanza tra farmacie e poliambulatori, con i medici di base «che oggi mancano ma che, tra quattro-cinque anni torneranno a esserci», assicura la presidente di Federfarma Milano e Lombardia.
Secondo Niccolò Calabresi, da giugno Managing partner e Responsabile Healthcare & Life Sciences di Europa & Africa di Heidrick & Struggles «il 70% delle aziende pharma in Italia dichiara di dover ricorrere ad assunzioni esterne per colmare un gap di competenze interno» e soltanto «una piccola percentuale proviene da esperienze internazionali, con una bassa mobilità transfrontaliera nel comparto». Intanto l’Italia invecchia e non sembra essere né un Paese per giovani né per donne. Secondo una survey condotta su 1.232 Ceo di aziende quotate in 27 diversi mercati differenti, solo il 13% lo diventa prima dei 45 anni, in Francia, Finlandia e Danimarca la percentuale di donne oscilla tra l’8% e il 13%, noi siamo al 3% con una media Ue del 7%. E solo il 38% dei Ceo ha un titolo accademico di livello avanzato, a fronte di una media Ue del 70%. Un segnale preciso che la politica non può più sottovalutare.
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