Dottoressa Scicolone, che cos’è la Direttiva sulla trasparenza retributiva e perché rappresenta un cambio di paradigma per la parità di genere?
“La Direttiva 2023/970 porterà una vera rivoluzione copernicana nelle aziende. Cambierà pratiche radicate da decenni, sia nel pubblico che nel privato. Una volta recepita dagli Stati membri, riguarderà tutte le imprese con almeno 100 dipendenti: un impatto, quindi, vastissimo”.
Quali sono i principali obblighi per le aziende?
“Gli adempimenti toccheranno ogni fase del rapporto di lavoro, a partire dal reclutamento. Sarà vietato chiedere al candidato la retribuzione precedente e le job description dovranno indicare chiaramente la retribuzione prevista per la posizione offerta. È un cambio epocale di approccio”.
Perché questo può essere considerato un passo verso un cambiamento culturale?
“L’auspicio è proprio che non resti solo un adempimento formale per evitare sanzioni, ma che le imprese colgano l’occasione per rendere davvero sostenibile il merito, valorizzando competenze e non storie retributive. Finora, chiedere la Ral precedente ha perpetuato il gender pay gap: se una donna fosse stata già penalizzata, avrebbe continuato a esserlo anche nel nuovo impiego. Dal 2026 la valutazione dovrà basarsi sulle competenze reali”.
C’è il rischio che, come accaduto con la legge Golfo-Mosca, il cambiamento resti solo sulla carta?
“Il rischio esiste. La legge Golfo-Mosca ha funzionato come strumento di compliance, ma non ha prodotto un vero cambio culturale nei vertici aziendali. Tuttavia, oggi il contesto è diverso: la Direttiva incide su un tema concreto e sensibile come la retribuzione. Con la fine del segreto salariale, mi auguro che le aziende inizino a valorizzare i talenti, femminili e maschili, con maggiore equità”.
Quali sono le altre novità più rilevanti?
“La Direttiva dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026, ma già nel 2027 le aziende con oltre 250 dipendenti dovranno presentare un reporting sui dati retributivi riferiti al 2026. Non basta quindi attendere: bisogna arrivare pronti”.
Trasparenza e privacy: come si conciliano?
“Non si potranno conoscere le retribuzioni nominative dei colleghi. Si potranno invece richiedere dati aggregati e anonimizzati relativi a lavori di pari valore, nel pieno rispetto del Regolamento Privacy europeo”.
E se un dipendente si sente discriminato?
“In quel caso potrà fare ricorso. La grande novità è l’inversione dell’onere della prova: non sarà più il lavoratore a dover dimostrare la discriminazione, ma l’azienda a dover provare che non vi è stata”.
Sono previste sanzioni?
“Sì. Gli Stati dovranno stabilire misure sanzionatorie proporzionate, commisurate al fatturato. In caso di appalti pubblici, le aziende non conformi potranno essere escluse. La Direttiva prevede inoltre che la disparità salariale non superi il 5%”.
Le aziende italiane sono pronte?
“Non ancora del tutto. Servirà un grande sforzo culturale e tecnico. Oggi servono veri ‘stilisti della parità’, professionisti capaci di disegnare modelli di governance sostenibili e conformi. L’esperto o esperta di parità deve avere competenze giuridiche, conoscenza dei processi aziendali e capacità di integrare la parità di genere nelle strategie d’impresa. È una figura che diventerà sempre più necessaria”.
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