In Italia diventare madre significa spesso dover affrontare un percorso a ostacoli, tra lavoro e famiglia, in un infinito equilibrismo da esperti funamboli. E’ ciò che emerge dal rapporto Save the Children, dal titolo eloquente: “Le Equilibriste – la maternità in Italia”, diffuso in occasione della Festa della Mamma. I dati raccolti restituiscono un’istantanea di disuguaglianza strutturale, in cui le donne, soprattutto se madri, vengono penalizzate sul piano lavorativo ed economico.
Sulla disparità di genere, l’Italia si colloca al 96esimo posto su 146 paesi per partecipazione femminile al lavoro e al 95esimo per parità salariale. Più di una donna su quattro è esposta al rischio di lavoro a basso reddito (26,6%), contro il 16,8% degli uomini. L’assenza di servizi per l’infanzia, la scarsa flessibilità lavorativa e la debole condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie rendono ancora più difficile conciliare maternità e lavoro. A livello territoriale, la Basilicata è la regione in cui si registrano le maggiori difficoltà per le madri, seguita da Campania, Puglia e Calabria.
La penalità figlio
In questo contesto generale, si aggiunge il fenomeno noto come “child penalty” (tradotto “penalità figlio”) in cui la nascita di un figlio impatta negativamente sulla carriera femminile. Nel 2024, il divario occupazionale tra padri e madri con almeno un figlio è stato infatti di quasi 29 punti percentuali: lavora il 91,5% degli uomini con figli, contro appena il 62,3% delle donne nella stessa condizione. Se la genitorialità maschile sembra favorire l’inserimento nel mercato del lavoro, per le donne accade esattamente l’opposto. Il tasso di occupazione femminile scende dal 68,9% tra le donne senza figli al 60,1% tra le madri con due o più bambini.
E ancora, una donna su cinque abbandona il lavoro dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie, che rendono inconciliabile la dimensione lavorativa e quella familiare.
Anche l’occupazione femminile a tempo pieno risente del peso della maternità: nella fascia 25-54 anni, lavora a tempo pieno il 77,8% delle donne senza figli, contro il 64,4% di quelle con almeno un figlio minore. Di conseguenza, il part-time aumenta sensibilmente tra le madri, passando dal 22,2% al 35,6%.
Le madri single: le più equilibriste
Particolarmente difficile è la condizione delle madri sole, definite nello studio “le equilibriste tra le equilibriste”. Queste donne si trovano ad affrontare una doppia penalizzazione: quella di genere e quella di essere sole. Una tendenza, quella delle famiglie monogenitoriali – cioè formate da un solo genitore con figli – sempre più diffusa: dal 2011 al 2021 sono aumentate del 44% a 3,8 milioni. La grande maggioranza (77,6%) è composta da madri sole con i propri figli e il loro numero è visto salire a 2,3 milioni nel 2043. Le madri sole con figli sono attualmente una delle tipologie familiari più esposte al rischio di povertà: il loro reddito medio annuo è di 26.822 euro, contro i 35.383 dei padri single.
Serve un cambio di passo
“Ancora oggi, le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro ma non solo, lo sbilanciamento dei carichi di cura a sfavore delle donne, l’insufficienza o l’assenza completa di servizi per la prima infanzia condizionano la vita e il benessere delle madri”, afferma Giorgia D’Errico, direttrice affari pubblici e relazioni istituzionali di Save the Children. Secondo una stima elaborata dal think tank Tortuga, investire in servizi per la prima infanzia ridurrebbe significativamente la child penalty. Attualmente, la penalizzazione iniziale per le madri dopo la nascita di un figlio è del 33%. Con una riduzione del 30% dei costi per gli asili nido, si potrebbe scendere a un range tra il 28,5% e il 27,6%. In uno scenario più ambizioso, con un abbattimento del 90% dei costi, la penalizzazione potrebbe ridursi fino al 16,8%.
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