Un italiano su due vuole (o vorrebbe) stipulare una polizza assicurativa per la sanità integrativa. Le variabili: il prezzo, che dipende molto dall’età dell’assicurato, dalle sue condizioni di salute, dal tipo di copertura richiesta. Le polizze individuali sono certamente le più onerose. Solo il 9% dice di averne già una. In verità sono 16 milioni gli italiani che godono di una qualche forma di integrazione sanitaria, per lo più in virtù di forme contrattuali o di welfare aziendale. Ma secondo la periodica rilevazione dell’Osservatorio Sanità di UniSalute solo il 45% delle aziende include la sanità integrativa nel proprio piano di welfare, con una maggiore diffusione al Nord (51%) e al Centro (49%) rispetto al Sud (34%). Tra i lavoratori che ancora non beneficiano della sanità integrativa, ben tre su quattro (75%) vorrebbero venisse introdotta nella loro azienda.
Insomma, c’è un forte bisogno di salute e una crescente consapevolezza che l’offerta del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) non è più adeguata. I motivi del ricorso alla sanità privata sono riconducibili principalmente all’esigenza di superare il problema delle liste di attesa: i tempi di attesa ridotti sono infatti la ragione principale (64%) per chi pensa di stipulare una polizza sanitaria integrativa.
Di più, un italiano su tre (32,4%) dichiara di non riuscire ad accedere alle prestazioni: oltre alle interminabili liste di attesa – secondo il “Rapporto civico sulla salute 2024” di Cittadinanzattiva, si arriva fino a 390 giorni per una mammografia, fino a 327 giorni per una colonscopia, fino a 180 giorni per una prima visita cardiologica, fino a 360 giorni per una risonanza magnetica – c’è addirittura l’impossibilità alla prenotazione per la difficoltà di contattare il Cup, salvo poi scoprire che in molti casi le liste d’attesa sono a lungo bloccate.
Secondo il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, la criticità delle liste di attesa è avvertita come il problema principale della sanità italiana, e in un anno questo problema si sarebbe aggravato per il 51% in più degli intervistati.
Dopo il Covid è cresciuta sensibilmente l’attenzione alla salute. E si è registrato un incremento deciso del numero di prescrizioni; tuttavia, nel confronto tra il 2019 e il 2023, i dati di Cittadinanzattiva mostrano un importante decremento del numero di prestazioni effettivamente erogate, anche se con una variazione piuttosto ampia tra le Regioni. In generale, si può rilevare un decremento medio dell’8% del numero di prestazioni erogate: è minimo lo scarto in Lombardia e in Toscana (-2%), seguite dall’Emilia Romagna (-3%), ma in ben 14 Regioni le percentuali superano la media nazionale con picchi di -25% in Sardegna, -27% e -28% in Valle d’Aosta e nella Provincia di Bolzano.
Questa difformità incentiva quel “turismo sanitario” che finisce per bruciare molte risorse dei cittadini e del sistema nel suo complesso. Ma prima di arrivare alla necessità di spostarsi per accorciare i tempi per un intervento importante o per una terapia delicata, c’è la necessità di tagliare le code digitali in attesa di esami di ogni tipo. Gli esempi usati poco sopra sono i più drammatici e i più frequenti. La sanità privata è percepita come la chiave per trovare una soluzione a una emergenza sanitaria in atto.
Non deve sorprendere quindi che quasi la metà degli italiani (46%) ritenga che il Ssn non riesca più a rispondere a tutti i loro bisogni di salute, come rilevato da una ricerca condotta da Nomisma per l’Osservatorio Sanità di UniSalute. In cima alla lista dei problemi ci sono proprio i tempi di attesa, di cui si lamenta l’88% di coloro che ritengono il Ssn non più sufficiente. Questo ha portato molte persone a rinunciare alle cure o in alternativa a rivolgersi alla sanità privata, come il 69% degli intervistati afferma di aver fatto nell’ultimo anno.
Per fare fronte al problema delle liste di attesa – si sta diffondendo l’attività intramuraria, cioè svolta privatamente ma all’interno delle strutture pubbliche. Una modalità per integrare pubblico e privato, con l’obiettivo di favorire il paziente.
L’attesa per ottenere un esame in tempi congrui è quasi sempre minima in intramoenia (una delle possibilità del privato di incrociarsi con il pubblico, integrandolo) evidenziando la sproporzione che c’è con i tempi prospettati attraverso il canale istituzionale. In particolare, circa il 56% delle prenotazioni “intramoenia” ha un tempo di attesa inferiore ai dieci giorni; circa il 30% delle prenotazioni viene fissato tra gli 11 e i 30/60 giorni (a seconda che si tratti di una visita specialistica o di una prestazione strumentale). Solo per il 14% delle prenotazioni “intramoenia” si deve attendere oltre i 30/60 giorni. In questi casi la copertura assicurativa avviene a rimborso e non passa attraverso convenzioni, a meno si tratti di grandi interventi, dove la scelta dell’assistenza diretta è preferita dai clienti-pazienti.
Di fronte all’allungarsi delle liste di attesa e alle difficoltà di accesso ai servizi sanitari pubblici, il 61% degli intervistati ritiene che l’integrazione della sanità privata con il Ssn possa alleviare la pressione sulla sanità pubblica, in un contesto in cui il 27% degli italiani pensa che in futuro il sistema pubblico non risponderà in alcun modo ai suoi bisogni in fatto di salute, e il 65% ritiene potrà farlo solo in parte.
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