È torinese, laureato in Scienze politiche internazionali con tra l’altro un Executive Mba alla Bocconi, ceo e socio di minoranza di Pattern (il Polo Italiano della Progettazione e Produzione del Lusso, azienda quotata in Borsa), ha per sua fortuna una genuina predisposizione all’ottimismo e un’incrollabile fiducia nei confronti di una certa “italianità”. Qualità più che mai indispensabili visto che il 19 maggio scorso Luca Sburlati è diventato presidente di Confindustria Moda. Settore d’eccellenza del Belpaese che, ultimamente, singhiozza un po’.
Sburlati, non un periodo semplice.
«Come per nessuno dei miei predecessori degli ultimi anni. Prima il Covid, ora la prolungata situazione geopolitica. Ma chi prende questi incarichi lo fa perché ci crede e li intende un po’ come una missione».
Ecco, qual è la missione?
«Unire resilienza a proattività. Noi italiani abbiamo una qualità unica che è la flessibilità, è il momento di ricordarlo ma non basta dobbiamo tornare a pensare al futuro e non solo a subirlo».
Sì, ma dopo anni di crescita la moda sta facendo una frenata. Nulla che ancora preoccupi, ma è una situazione che lascia segni.
«Da marzo 2024 a marzo 2025 il comparto pelletteria ha segnato -24% e quello dell’abbigliamento -12%. Questi segnali in parte sono dovuti ad una normalizzazione del mercato. Abbiamo vissuto un periodo, quello del Covid, in cui non si poteva respirare, non si poteva mangiare, non si poteva fare nulla. È logico che dopo sia arrivata la grande abbuffata. Il mercato è stato drogato nei due anni successivi, ora la grande abbuffata è finita».
Un grande gruppo, come Lvmh, nel primo trimestre di quest’anno ha avuto un’inflessione dei ricavi totali del 2% e da un anno questa parte ha perso il 36% del suo valore in Borsa.
«Quella di Lvmh è una flessione del tutto fisiologica e anzi, mi sembra un’ottima tenuta dal momento che, oltre alla fine degli effetti del post Covid ora pesano anche due guerre abbastanza vicine a noi e, ancora più dei dazi, che variano a seconda delle merci, incide ancora di più la fase di incertezza dettata dalla politica americana, specie per le modalità di acquisto del lusso. Considerando questa somma di fattori, trovo che quella di Lvmh sia una dimostrazione di resilienza e trovo abbiano attuato una politica molto intelligente accostando alla vendita del prodotto la vendita dell’esperienza, che oggi è richiestissima. Il loro nuovo flagship store in Montenapoleone a Milano ne è una dimostrazione perfetta dal fashion ad un lifestyle allargato, vince l’esperienza».
E per quanto riguarda il titolo?
«Qui le rispondo da ceo di un’azienda quotata: la Borsa sconta in modo esasperato le flessioni, le risalite, persino il sentiment. Io direi che in questo senso Lvmh sta tenendo. E c’è da augurarselo, le filiere francesi sono molto connesse alle nostre. Senza considerare che i loro gruppi del lusso sono molto più grandi dei nostri, si pensi a Chanel, Hermes, Kering, Louis Vuitton…».
Altri modi per correre ai ripari?
«È un momento in cui i grandi brand italiani devono pensare di mettersi insieme per rendersi più forti e propositivi. L’operazione Prada-Versace è un grande esempio in questo. Così lo devono fare anche le aziende della filiera. Lo dico nuovamente: resilienza e proattività».
C’è un impulso a fare acquisizioni in questo periodo?
«Noi, nel senso della Pattern, lo abbiamo fatto e trovo sia indispensabile per le aziende medie e medio-grandi».
Lo Stato vi aiuta in qualche modo?
«Ce ne stiamo occupando anche a livello ministeriale, lavoriamo con il Mimit a un piano moda. Ne ho parlato anche con il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, e lui con la premier Giorgia Meloni. È fondamentale, non dimentichiamo che, a livello di export, il comparto Tessile, Moda e Pelletteria vale quasi 100 miliardi ed è secondo solo alla Meccanica».
Cos’ha in mente?
«Rinforzare il settore a livello strutturale, garantire dei vantaggi fiscali per le aziende che si quotano, perché quotarsi ha costi ingenti, tornare agli sgravi fiscali dei Pir (Piani individuali di Risparmio), fare in modo, per esempio, che i Fondi Pensioni investano su di noi… Insomma, noi italiani dobbiamo passare dall’essere innamorati di ciò che sta all’estero all’essere un po’ più investitori nelle nostre imprese».
Qualche giorno fa Confindustria Moda, cioè lei, ha firmato un Patto per la legalità con la Prefettura di Milano.
«Sì, per contrastare l’illegalità nella filiera produttiva del settore. E anche per tutelare le tante realtà super virtuose che ci sono nel nostro Paese. Non vedo perché adesso dobbiamo passare per un settore che fa lavorare i cinesi maltrattati nei sottoscala anche sui social media. Le situazioni di illegalità vanno stroncate e ci sono semplici modalità tra cui quelle dell’adozione dei contratti nazionali sia industria che artigianato».
La Pattern fornisce lusso alle aziende di lusso. Si è accorto di qualche cambiamento nei gusti e negli acquisti?
«Il lusso negli ultimi anni è meno urlato, oggi è limitato negli eccessi. C’è più attenzione alla qualità e alla durabilità. La gente è più attenta al valore e tornare ai basici è sempre una buona cosa. Tornando al valore vero delle cose si è più resilienti. E certi marchi in particolare, che lo fanno anche con la filiera come Prada o Brunello Cucinelli, ne beneficiano. Noi italiani portiamo bellezza in giro per il mondo ed abbiamo il dovere di difenderla».
Insomma c’è da pensare positivo. E questo nonostante in Cina, da quando i consumi interni non vanno come dovrebbero, si è innescata una sorta di “vergogna del lusso”…
«Non sono i cinesi che si vergognano del lusso, penso sia piuttosto un messaggio anche veicolato dal governo per incentivare il Pil interno e cioè che essere figo non sia più ’figo’ in un momento in cui l’economia tira meno. Si tratta di un luxury shame utile a spingere i brand nazionali ove possibile. In questa partita essere fedeli ai nostri valori del vero made in Italy e raccontarli alle generazioni future sarà la chiave».
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