Per dire “stilografica” si dice Montblanc, i cristalli sono Swarovski, l’evidenziatore è lo Stabilo Boss. Sono tre marchi, ma hanno finito col definire l’oggetto. Icone che hanno incarnato il prodotto. E cos’hanno tutte in comune? Lui.
Michele Molon, nuovo Group ceo di Schwan Stabilo, ex Swarovski ed ex-ex Montblanc. Dal primo ottobre sarà il ceo dell’azienda che ha il cigno come simbolo (in tedesco si dice appunto schwan), che è nata a Norimberga nel 1855 e oggi ha 5.200 dipendenti e sedi in 38 Paesi e che, contrariamente a quanto abbiano pensato in molti fin qui, non produce solo strumenti da scrittura. Anzi, il 30% degli 800 milioni di fatturato proviene dal suo reparto cosmesi e ne ha anche uno di prodotti outdoor (zaini e attrezzature per alpinismo, sci, ciclismo). Molon sarà il primo ceo esterno a guidare tutte e tre le anime del gruppo Schwan-Stabilo: scrittura, cosmesi e outdoor.
Molon, come si sta preparando al primo ottobre?
«Intanto facendo uno stacco mentale da Swarovski dove sono stato per 15 anni. È un amore che devo lasciare andare, anche se il simbolo del cigno me lo porto dietro. E poi predisponendomi all’osservazione e all’ascolto, con sicurezza ma soprattutto con umiltà. Ponendomi domande che spero siano quelle giuste».
Per esempio, quali domande? Ne condivide una con noi?
«Per esempio se esista un filo comune tra le tre anime dell’azienda».
Stabilo Boss è diventato sinonimo di evidenziatore. Come si può fare ad andare oltre un risultato così?
«Con la creatività. Si può esplorare un nuovo mondo rispettando l’icona. C’è differenza tra essere noti ed essere rilevanti, quindi margini ce ne sono. Stabilo è, a mio avviso, il proprietario senza portafoglio del colore, si può iniziare da qui».
Beh le hanno dato un’intera tavolozza, ha anche i cosmetici…
«Il colore è evoluzione, è un valore vivo. I trucchi sono un asset strategico, un grande potenziale. Produciamo per grandissimi marchi internazionali ed è un comparto che mi affascina fortemente».
Faranno capo a lei tutti i settori del gruppo, pensa di “legarli” di più a livello d’immagine?
«Un filo rosso c’è ma l’espressione per ognuna è completamente diversa. Penso a un’indipendenza dei settori ma a un’osmosi creativa. Scrittura, bellezza, outdoor: sono tutte e tre dominate dal colore, sono esperienze fisiche, sensoriali e “vere”. Trovo ci sia una bella opportunità narrativa».
Sta per entrare in una “famiglia” che si tramanda l’impresa da sei generazioni e che ha tenuto lo stesso ceo, Sebastian Scwanhauber, per trent’anni. È una realtà particolare al giorno d’oggi.
«È una realtà rassicurante ma impegnativa perché il mio predecessore aveva una conoscenza lunga e dettagliata del prodotto che ha portato avanti con orgoglio, continuando a innovare. Non sono mai rimasti fermi e sono cresciuti molto, grazie alla sua visione».
È diverso guidare un’impresa familiare rispetto a una ad azionariato diffuso?
«Nei gruppi quotati guidati dalle holding, che, va detto, sono molto più esposti, si sente tanto l’influenza della Borsa e nel 2008-2009 questo è stato evidentissimo. Dopo il Covid, l’imperativo di tutte le realtà è stato quello di sopravvivere ma le aziende familiari non hanno mai basato le loro decisioni sulla chiusura del trimestre. Hanno sempre avuto visione e senso d’identità».
Parlando a nome della famiglia, Sebastian Schwanhauber ha insistito molto nel descrivere la sua nomina come una scelta “umana” e “valoriale” oltre che professionale. Un bel riconoscimento.
«Un complimento enorme. Io nasco business manager ma la mia matrice è human capital: formare persone, creare team, fare squadra… quando una proprietà ti sceglie su base valoriale, significa che insieme si è fatto click e questo crea le basi per una collaborazione autentica».
Schwan Stabilo ha una storia bellissima: l’acquisto nel 1864 per 32mila fiorini olandesi, il ruolo delle donne in fabbrica, l’invenzione nel 1971 del “mitico” Stabilo Boss… Ci si è appassionato?
«Anche da questo punto di vista sono stato fortunato: Montblanc ha cent’anni di storia, Swarovski 130, Stabilo 170… Un’azienda che passa da sei generazioni senza perdere vitalità, continuando a evolversi ma senza necessariamente doversi rivoluzionare è qualcosa di raro».
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