Un unicorno in tutto e per tutto italiano che ha mosso i primissimi passi a Copenaghen quando 12 anni fa i suoi cinque giovani fondatori si convinsero che il futuro della loro creatura Bending Spoons doveva essere in Italia. Moneta è andata proprio nell’headquarter milanese di Bending a trovare Luca Ferrari, co-founder e ceo della tech company valutata circa 5 miliardi di dollari e che controlla realtà di successo quali Evernote, Komoot, Meetup, Remini, StreamYard e WeTransfer.
Cosa vi ha fatto propendere per l’Italia?
«Ci esaltava l’idea di dimostrare che anche dall’Italia si può costruire un’azienda di livello mondiale. E magari, nel farlo, ispirare altri a provarci e contribuire a far crescere l’imprenditoria, la tecnologia e la cultura del Paese. Inoltre, in Italia ci sono tanti giovani in gamba, pieni di talento e fame di avere impatto, ma spesso non hanno le giuste opportunità di crescita. Noi cerchiamo di offrirgliele: vogliamo creare un contesto dove possano dare il massimo e sentirsi parte di qualcosa che sia davvero all’altezza delle loro ambizioni».
Già a 25 anni hai fondato la tua prima startup, cosa consigli ai tanti giovani che hanno spirito imprenditoriale ma pensano che in Italia non ci sia spazio per loro?
«In Italia c’è più spazio di quanto si pensi, più che in tanti altri Paesi. Spesso si guarda agli Stati Uniti, dove ci sono sì storie di successo, ma ci si dimentica che per ogni storia andata bene ce ne sono tantissime finite male. Insomma, fare impresa lì non è una garanzia di successo. Anzi, in certi casi può essere perfino più difficile emergere, proprio perché la competizione è enorme».
Si guarda sempre alle tante difficoltà di fare impresa in Italia, proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno.
«In Italia ci sono un sacco di giovani talentuosi, con tanta voglia di fare, di prendersi responsabilità e di avere un impatto. Ma spesso le opportunità per crescere davvero sono poche. Se hai un progetto ambizioso e credibile – come cerchiamo di fare noi con Bending Spoons – riesci ad attirare tanti di questi ragazzi e a costruire qualcosa di grande insieme a loro».
Hai sempre fatto trasparire la tua forte ambizione di portare la tua azienda tra le leader nel mondo, a che punto siamo?
«Il nostro obiettivo è rendere Bending Spoons una delle aziende di maggior successo della nostra generazione, a livello globale. Rispetto a un traguardo così ambizioso, siamo ancora quasi all’inizio del percorso. Faremo tutto il possibile per arrivarci».
I vostri dipendenti si fanno chiamare “Spooners” e risultate tra le realtà dove si lavora meglio con uno stile in parte rivoluzionario rispetto ai canoni italiani. Tra le tue ambizioni c’è anche quella di essere da esempio per altri?
«Assolutamente sì. In Italia c’è tantissimo spazio per migliorare l’economia, incluso il mondo del lavoro. Crediamo nel dare molta libertà e supporto, nell’avere aspettative altissime gli uni verso gli altri, e nell’affidare grandi responsabilità a chi le merita, indipendentemente da età o curriculum. Infine, crediamo nel retribuire in modo ultra competitivo quando il livello di talento lo giustifica. Quest’anno stimiamo l’arrivo di 600mila candidature, solo uno su 3mila sarà dei nostri andando a rinfoltire il nostro team a straordinaria densità di talento».
La vostra redditività è impressionante, circa 50% dei ricavi, non lontana da quella di colossi quali Nvidia, come fate? In teoria il gioco è semplice: acquisite aziende e le rendete migliori. In pratica non è proprio così…
«Per farla breve, direi che i nostri vantaggi competitivi principali sono tre: un team eccezionale, e in questo settore il talento fa davvero la differenza, competenze e tecnologie molto potenti che abbiamo costruito e migliorato nel tempo, e una cultura aziendale che secondo me è unica. È una cultura basata sull’ambizione, sulla razionalità e sul gioco di squadra, tra le altre cose».
Da inizio 2024 le acquisizioni sono state tambureggianti: Meetup, Streamyard, WeTransfer, Brightcove e Komoot. Quale sta dando migliori riscontri e su quale invece pensate ci vorrà più pazienza?
«WeTransfer sta andando particolarmente bene, anche meglio di quanto ci aspettassimo. Brightcove anche, ma lì stiamo facendo un po’ più fatica del previsto in quanto è un modello basato molto sulla forza vendita e su rapporti diretti con clienti enterprise, un’area dove abbiamo ancora poca esperienza».
Il ritmo è di un deal al trimestre, un caso o una precisa tabella di marcia? Entro l’estate avete in serbo una nuova operazione?
«La nostra intenzione è continuare a fare acquisizioni, e possibilmente sempre più grandi, sfidanti e stimolanti. È difficile dire adesso quale sarà la prossima e quando arriverà, anche perché non dipende solo da noi. Però penso che almeno un’altra, prima della fine dell’estate, con ogni probabilità ci sarà».
Quali i criteri chiave che usate per decidere l’azienda giusta su cui puntare?
«La prima cosa che cerchiamo sono aziende con ricavi importanti. Come gruppo quest’anno supereremo 1,2 miliardi di dollari di fatturato, quindi perché un’acquisizione abbia davvero impatto per noi, l’azienda deve avere una certa dimensione. Secondo punto: dobbiamo riuscire a prevederne il futuro con un buon grado di precisione. Se è troppo imprevedibile, di solito non ci interessa. E poi, terzo: dobbiamo credere di poterla migliorare tanto. Altrimenti diventa difficile fare un’offerta che sia interessante per il venditore ma che, allo stesso tempo, ci permetta di ottenere un ritorno eccellente».
A quali segmenti guardate?
«Siamo abbastanza agnostici. Finché si tratta di digitale, siamo aperti a considerare qualsiasi tipo di azienda. A livello geografico la maggior parte dei target a cui guardiamo è negli Stati Uniti».
Tra i grandi manager a chi guardi con più interesse? Vedi in Italia dei talenti in grado di far germogliare altri unicorni stile Bending?
«Cerco sempre di cogliere, e magari anche di emulare, il meglio da ogni persona con cui entro in contatto, che sia famosa o no. Di Musk mi piacciono l’ambizione, l’immaginazione e la dedizione. Di Bezos ammiro la chiarezza di pensiero e la lucidità con cui comunica. Di Buffett, amo la pazienza e il controllo emotivo. Mi ispiro anche a figure meno conosciute, come Henry Singleton – ingegnere, manager e investitore del ‘900 – che per me è stato uno dei più grandi di sempre. E poi, dai, siamo un Paese con quasi 60 milioni di persone… sono sicuro che anche qui ci siano tanti talenti capaci di costruire aziende straordinarie».
Quando deciderete di quotarvi la scelta cadrà su Milano, New York o entrambe?
«Dico New York perché le valutazioni tendono a essere più alte e la liquidità maggiore. Però mai dire mai».
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