Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia, è uomo pragmatico. Conosce bene le imprese e gli imprenditori, e sa che una quota enorme del Prodotto interno lordo lombardo si costruisce nel rapporto con l’Europa. Il problema è che nel bilancio programmatico illustrato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, si prospetta un drastico taglio delle risorse a disposizione delle regioni: dai 378 miliardi di euro attuali si scenderebbe a 218 miliardi.
Assessore Guidesi, che effetto avrebbe la centralizzazione della gestione delle risorse europee?
«Se venisse confermata la bozza del bilancio programmatico, il prossimo governatore della Lombardia potrà essere solo un direttore sanitario in capo al ministero della Salute visto che la regione verrebbe sostanzialmente ridotta ad una gestione ordinaria priva di risorse per attuare politiche e servizi. Oltre a commettere l’errore di non rafforzare il rapporto con i territori, la Commissione europea consegna i fondi già ridotti alla gestione dello Stato centrale. Vorrebbe dire un riparto territoriale dannoso per la Lombardia perché Roma tende a inserire parametri meno premianti in relazione al merito. Servirebbero tempi lunghissimi per mettere in campo strumenti per le Pmi. Ma tempi lunghi significa scarsa competitività, visto quanto sono veloci i cambi delle contingenze economiche con richiesta di risposte flessibili e immediate».
Bisogna poi considerare che la Lombardia contribuisce al Pil nazionale per circa il 30 per cento.
«Sicuro, e questa scelta sarebbe un freno alla crescita perché si frenerebbe la locomotiva del paese. Ma il peggiore risultato sta nel fatto che al posto di premiare i territori virtuosi li si limita prendendo come scusa la non virtuosità di pochi. Una scelta che ci porta indietro. Una scelta che favorisce il centralismo e per me più centralismo significa meno sviluppo. Per questo stiamo lottando con le altre regioni europee ad alta densità produttiva affinché la Commissione cambi idea».
In Lombardia ci sono 23 distretti industriali e 3 poli tecnologici. La locomotiva d’Italia, senza benzina, potrebbe fermarsi con ripercussioni importanti anche sul Pil nazionale dopo il 2027?
«In Lombardia c’è molto di più, comunque la risposta è sì. Quando accentri rallenti e quando rallenti non sei competitivo. È semplice ma pare qualcuno non lo capisca. La Lombardia è un centravanti che fa tanti gol, se l’allenatore non lo fa giocare o la mette in difficoltà allora anche tutta la squadra ne paga le conseguenze».
Verrebbe meno il principio di sussidiarietà, come denunciano anche i Länd tedeschi?
«Loro corrono meno rischi perché hanno una costituzione federale per cui le risorse comunque andranno ai länd. Per noi che siamo in un Paese non federale vorrebbe dire privare le regioni dell’unica possibilità di aiuto ai territori, per cui oltre alla mancata sussidiarietà istituzionale ci sarebbe la cancellazione della sussidiarietà dei servizi. Tradotto: mancheranno servizi di ogni tipo ai cittadini».
Quale effetto avranno per le imprese lombarde le politiche portate avanti dall’Europa sul fronte dell’automotive?
«La Commissione ha sul tavolo da tempo le proposte dell’alleanza delle regioni per salvare il settore e raggiungere gli obiettivi ambientali: libertà d’azione, neutralità tecnologica e apertura alla ricerca e all’innovazione. Noi crediamo ad una mobilità sostenibile attraverso una pluralità di trazioni per cui per noi gli obiettivi ambientali possono essere raggiunti con tante soluzioni. Il “solo elettrico” è ormai evidente sia solo un vantaggio ai nuovi costruttori cinesi. Quindi o si cambia rotta in fretta o racconteremo il più grande suicidio della storia industriale. Se non cambia l’impostazione il 40% delle nostre aziende di questo settore chiuderà con conseguenze sociali pesantissime. In Europa parliamo di 13 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti, se la Commissione non corregge il tiro l’unica attività che ci sarà in questo settore sarà la gestione di tante persone senza occupazione».
Da un lato, abbiamo i dazi americani; dall’altro, la Cina, che ha sfruttato i nostri errori per conquistare il primato mondiale nelle batterie elettriche. Cosa dovrebbe fare l’Europa per non rimanere un vaso di coccio tra due di ferro?
«L’Europa deve aprirsi completamente all’innovazione. Imporre un’unica strada per raggiungere gli obiettivi ambientali significa limitare ingegno, innovazione e ricerca. La competizione globale la vinciamo con l’anticipo dei tempi, se invece dobbiamo fare tutti la stessa cosa vincerà ovviamente chi la fa a costi minori. Fin d’ora di “competitività” si sono riempiti i convegni ma di cambiamenti regolamentari non ne abbiamo visti. O l’Europa cambia o non ha futuro».
Se a Bruxelles non ascolteranno le vostre richieste, la Lombardia è pronta a portare in piazza le aziende?
«Lo faremo, ci siamo dati pochi mesi in attesa di risposte. Poi la manifattura farà ciò che ha fatto l’agricoltura, cambierà atteggiamento e passeremo dalla proposta alla protesta».
Sullo sfondo sono in cantiere altri grandi cambiamenti sul fronte del risparmio come il Mercato unico dei capitali: quale sarà l’impatto sul sistema e sul risparmio degli italiani e dunque anche dei lombardi?
«Bisogna riprendere la giusta interpretazione della “finanza”, la finanza come mezzo di sviluppo economico, il credito come elemento fondamentale delle filiere settoriali. Alcuni cambiamenti regolamentari servono, così la situazione è troppo ingessata. Non basta il mercato unico, servono regole che limitino la speculazione finanziaria e che premino il credito per le aziende e le famiglie. Noi abbiamo messo in campo strumenti di garanzia con il sistema dei Confidi, strumenti di credito innovativo e abbiamo ribadito il ruolo di Milano capitale finanziaria attraverso uno strumento che consentirà a chi si vuole quotare in Borsa di avere un supporto regionale. Facciamo il nostro ma spesso le influenze speculative mettono a repentaglio i piani a medio termine. L’aumento dei costi energetici credo ne sia un esempio».
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