Occhio alla fregatura. Alla Cop30 in corso a Belèm, dieci Paesi, tra cui Brasile, Canada, Cile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Spagna, Svezia e Uruguay, hanno firmato una Dichiarazione sull’integrità dell’informazione climatica. Secondo quanto comunicato, si tratta di un primo documento internazionale volto a “contrastare la disinformazione e il negazionismo sul cambiamento climatico“. Dietro le intenzioni di facciata, non vorremmo però che si nascondesse l’ennesimo tentativo di blindare l’agenda globale green e di promuovere l’ambientalismo più oltranzista, che negli ultimi anni ha distrutto interi settori industriali e produttivi in nome dell’intoccabile totem verde.
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Secondo i promotori, l’iniziativa congiunta dovrebbe per contro “promuovere la diffusione di dati accurati e basati su evidenze scientifiche“. La dichiarazione, sostenuta dalle Nazioni Unite e dall’Unesco, stabilisce dunque una serie di impegni comuni per garantire la qualità delle informazioni ambientali, finanziando ricerche e programmi di formazione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il testo incoraggia inoltre il coinvolgimento del settore privato nella promozione di pratiche di comunicazione e pubblicità trasparenti e responsabili.
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Il documento invita inoltre governi e istituzioni a “unire gli sforzi nel combattere la disinformazione e gli attacchi contro giornalisti, scienziati e attivisti ambientali, spesso esposti a minacce e campagne di denigrazione”. A ben vedere, però, negli ultimi tempi le ondate di delegittimazione hanno in realtà travolto soprattutto quanti si sono permessi di contestare i dogmi green, alla luce degli oggettivi fallimenti prodotti da questi ultimi. E poco importava che tra queste voci critiche ci fossero pure scienziati, studiosi e ragguardevoli esponenti del mondo accademico. A differenza di quanto viene fatto credere, infatti, il mondo scientifico è tutt’altro che compatto e uniformato rispetto alle teorie che, ad esempio, attribuiscono il cambiamento climatico unicamente all’intervento antropico.
Il punto, del resto, non è negare che il clima stia cambiando ma prendere piuttosto atto che le granitiche soluzioni prospettate dagli ambientalisti tout court e dai burocrati si sono spesso rivelate insensate e addirittura inutili. Ne sa qualcosa l’Europa, che si è auto-inflitta regole green rigidissime mentre dall’altra parte del mondo si continua a usare il carbone in maniera massiccia. E così, mentre il Vecchio Continente vuole andare a energia elettrica e bloccare le proprie aziende con assurde zavorre burocratiche, l’Asia continua a bruciare coke e a fregarsene delle paturnie verdi. La domanda globale di energia è esplosa – più 40 milioni di barili equivalenti al giorno in dieci anni – e due terzi di questa crescita è stata coperta da fonti fossili. Non da pannelli eolici piazzati in mezzo al mare.
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Secondo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, la nuova iniziativa globale rappresenterebbe “un passo decisivo per garantire che scienziati e ricercatori non debbano temere di dire la verità”. Ma il dubbio è che le ragioni profonde della dichiarazione congiunta siano altre: consentire, con il pretesto della scienza, che le politiche green vengano imposte ancora e ancora. Senza che nessuno possa fiatare.
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