Il fenomeno della desertificazione bancaria è noto da tempo. Ma in seguito alle sei Offerte pubbliche di scambio in corso tra alcune delle principali realtà del settore italiano, la situazione potrebbe anche aggravarsi ulteriormente sul fronte occupazionale.
A lanciare l’allarme è stato il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni (in foto), il quale ha detto che i “problemi” del risiko bancario si presenteranno alla fine del processo di consolidamento in atto, «quando dovremo parlare di probabili esuberi, di chiusure di agenzie con conseguente mobilità del personale». Attualmente, infatti, nelle varie offerte attive (Mps su Mediobanca, Mediobanca su Banca Generali, Bper su Popolare di Sondrio, Unicredit su Banco Bpm, Bpm su Anima e Banca Ifis su Illimity) sono coinvolti circa 103mila dipendenti, quasi il 40% dei 261.976 attivi alla fine del 2024.
Esuberi banche: le parole di Sileoni
Considerando che un effetto collaterale delle fusioni, il più delle volte, è una razionalizzazione degli sportelli e la riduzione del personale, il rischio è di trovarsi un sistema con una bomba esuberi da disinnescare. Una possibile soluzione al problema la propone proprio il numero uno della Fabi, il più grande sindacato dei bancari: «Quando parliamo di fusioni, sarebbe opportuno inserire una clausola sociale obbligatoria, per stabilire in anticipo l’assenza di impatti occupazionali, altrimenti sono solo chiacchiere».
A proposito di un ulteriore calo dell’occupazione nel settore bancario, Sileoni ha spiegato che «esiste il fondo esuberi che è un ammortizzatore sociale, interamente finanziato dalle banche grazie al quale gestiamo pensionamenti e prepensionamenti volontari, evitando i licenziamenti. Il sindacato non deve gestire il cambiamento, ma deve saper gestire il cambiamento». Già perché di cambiamento epocale si tratta, con istituti che si fanno sempre più grandi e meno legati a specifici territori.
Il fenomeno della desertificazione bancaria e le regioni più colpite
Come fa notare l’Osservatorio della First-Cisl sul fenomeno della desertificazione bancaria, infatti, nel primo trimestre del 2025 le banche italiane hanno chiuso 95 sportelli (ora siamo a 19.559 totali), un record negativo in linea con la tendenza che a fine 2024 ha portato il loro numero sotto quota 20mila.
Oggi la situazione è ancor più evidente con quasi la metà dei comuni priva di sportelli: ben 3.386, il 42,9% del totale, con oltre 4,6 milioni di residenti. Liguria, Veneto e Friuli Venezia-Giulia sono le regioni più colpite. Va ricordato, inoltre, che l’ultimo trimestre dell’anno scorso aveva registrato il numero più elevato di chiusure (432) dall’inizio delle rilevazioni nel 2022. Uno stillicidio che ha ovvie ripercussioni anche a livello occupazionale, con 16mila posti di lavoro persi negli ultimi cinque anni.
L’aumento dimensionale delle banche è certo sostenuto ai più alti livelli dell’Unione europea e dalla Banca centrale europea. Lo stesso governo italiano auspica la creazione di un terzo grande polo bancario dietro Intesa Sanpaolo e Unicredit. Tuttavia, è consapevole che il fenomeno vada gestito con oculatezza. È strategico, infatti, che le imprese italiane – in gran parte di Piccole e medie dimensioni – continuino ad avere un buon accesso al credito. Le prescrizioni nel decreto golden power sull’operazione Unicredit-Banco Bpm battono molto su questa tematica.
Tant’è che si chiede di «non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impieghi/depositi praticato da Banco Bpm e Unicredit in Italia, con l’obiettivo di incrementare gli impieghi verso famiglie e Pmi nazionali». Nelle righe del documento, si spiega che «l’ammontare di impieghi bancari destinati da Unicredit al mercato italiano si è ridotta negli ultimi cinque anni» e che «Unicredit concentrerebbe il proprio supporto creditizio in favore di grandi imprese, istituzioni finanziarie ed enti in luogo di famiglie e piccole e medie imprese».
Quest’ultimo è un caso specifico, ma è anticipatorio di una situazione che sorgerà nel percorso di consolidamento bancario anche a livello europeo. La stessa Germania ha opposto motivazioni simili alla prospettiva, peraltro apertamente osteggiata, di una scalata della stessa Unicredit a Commerzbank, la seconda banca tedesca che è molto attiva proprio sul segmento delle Piccole e medie imprese. Il sottosegretario del ministero delle Finanze, Michael Schrodi, braccio destro del ministro Lars Klingbeil, ha affermato di volere «banche forti e indipendenti» in Germania, «perché le decisioni sui prestiti per le piccole e medie imprese tedesche dovrebbero essere prese in Germania». Il tema è sempre lo stesso: il timore che diminuisca il flusso di credito alle aziende tedesche, con effetti inevitabilmente negativi sull’economia e gli investimenti.
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