Poco più di 4 miliardi di cassa da spendere per nuovi acquisizioni. Così gran parte della stampa italana ha commentato, non senza una certa enfasi, i conti semestrali di Exor, la finanziaria olandese capitanata da John Elkann, pubblicati la scorsa settimana. Nessun accenno, nella titolazione della notizia, al fatto che il valore netto degli asset è diminuito e che la holding ha chiuso in perdita la prima metà del 2025. Dettagli evidentemente trascurabili per i media mainstream. Così come tanta enfasi per quell’abbondanza di cassa pare fuori luogo: l’aumento della liquidità disponibile non è figlia di chissà quale gestione formidabile della cassaforte che possiede quote di Stellantis, Ferrari, Cnh e Philips solo per citare le principali partecipate quotate. Ma deriva semplicemente dalla cessione di asset patrimoniali: il 4% di Ferrari che ha portato in dote 3 miliardi cash e la recente vendita di Iveco che apporterà altri 1,5 miliardi, mentre i dividendi della gestione ordinaria che arrivano dalle partecipate non sono cresciuti, fermi a 600 milioni di euro.
Del tutto sottaciuto, in questo tripudio, i guai che imperversano su Stellantis. E che pesano non poco sulla holding. La brusca caduta di valore avviata nella primavera 2024 del colosso nato dalla fusione tra Fca e Peugeot, e che non conosce per ora soste, sta infliggendo duri colpi al valore della finanziaria. Dai massimi di marzo dello scorso anno a oltre 26 euro per azione, Stellantis ha perso quasi il 70% del suo valore di mercato. E per ora non c’è segnale della fine della crisi. Anzi, la gran parte degli analisti propende per un 2025 ancora in perdita e crede che la ripresa della redditività avverrà solo alla fine del 2026.
Una lunga traversata nel deserto per il settore dell’auto, con Stellantis che però tra i big europei è quella che ha pagato più cara la crisi.
La parabola discendente
E gli effetti sono ben visibili nei conti di Exor. Oggi con il titolo a poco più di 8 euro, il valore netto in Exor è di 3,8 miliardi di euro, con il peso sul Nav della finanziaria ridotto a solo il 10% del totale. Ferrari è sul podio ormai da anni con il 39% del Nav di Exor e l’asset Stellantis, dal forte valore simbolico non solo per gli Agnelli-Elkann, è tallonato da vicino da nomi meno prestigiosi come Cnh (10% del Nav) o Philips con il 9%. Persino il business degli investimenti finanziari sui mercati di fondi, venture capital e azioni è arrivato a pareggiare 3,2 miliardi, poco sotto il valore più che depresso della casa automobilistica.
La parabola discendente, che dice molto sulla perdita progressiva di centralità dell’auto nelle strategie di Elkann, è significativa. Solo a gennaio 2024, prima dell’esplosione della crisi del settore, il gigante dell’auto pesava per il 24% sul Nav di Exor con i suoi 9,5 miliardi di valore di mercato: tracollati e 5,6 miliardi a fine del 2024 e scesi ancora a giugno di quest’anno a 3,8 miliardi. Ora i vertici della finanziaria olandese non possono che incrociare le dita confidando in una ripresa di vendite e fatturato della jv franco-italiana che possa trainare il titolo in Borsa nei prossimi mesi. Ma come detto, forse occorrerà aspettare ancora del tempo.
Fuga dall’industria
E l’angelo caduto Stellantis non è che l’emblema più significativo dell’allontanamento più che evidente di Exor dal mondo dell’auto e dintorni. Come non ricordare le cessioni nel tempo di Magneti Marelli, Teksid, Comau e ora Iveco. Un’exit di fatto dal mondo dell’industria manifatturiera pesante che implica forti investimenti, dipendenza stretta dal ciclo economico e nel caso dell’ex Fiat-Fca i difficili equilibrismi con la politica per il peso che l’auto e il suo indotto hanno sul sistema Paese. Meglio, molto meglio liberarsi della zavorra industriale e puntare sulla finanza e su business con alti margini e alti premium price. Il famoso tridente lusso-sanità-tech che è diventato ormai da anni il mantra del nipote dell’Avvocato. Con sempre più frequenti puntate sulla finanza. Il portafoglio investimenti basati a Londra hanno rendimenti sopra il 10% annui e valori assai più elevati dei ritorni (quando ci sono) dell’auto & C.
Già solo il portafoglio delle partecipate non quotate insidia da vicino il peso di Stellantis nella holding. Gli investimenti nelle varie società – da Institut Merieux a Via, da Loboutin fino all’Economist e a Weltec solo per citare le principali – sono valorizzati per 3,5 miliardi. Poco sotto i 3,8 miliardi del colosso dell’auto. Che era partito alla grande subito dopo le nozze con Peugeot a inizio 2021. Anni di corsa nei numeri e sul listino con i ricavi saliti alla cifra record di 189 miliardi nel 2023 con un ebit margin che ha toccato il 12% sui ricavi sempre quell’anno.
Poi ecco la doccia fredda: crisi negli Stati Uniti, il mercato più redditizio, magazzini pieni di invenduto, scorte alle stelle e frenata nelle vendite crollate a fine 2024 a 5,4 milioni di veicoli (-12%) con ricavi giù del 17%, marginalità più che dimezzata in soli 12 mesi e cassa negativa per 6 miliardi. Un trend che è proseguito nei primi sei mesi 2025 con redditività operativa azzerata.
Per l’intero 2025 il consenso raccolto da S&P Global market intelligence stima vendite poco sopra 150 miliardi con ebit margin poco sopra il 2%, distante anni luce dal 12% di solo 18 mesi fa. La parabola violenta racconta che non fu vera gloria il successo iniziale di Stellantis. I ricavi correvano sotto Tavares più per effetto dei forti rialzi dei prezzi che per i volumi di fatto fermi. Passata la sbornia e utilizzata a più non posso la leva del prezzo, ecco che è arrivato il contraccolpo con le concessionarie piene di macchine invendute.
La vecchia Fiat-Fca
Ma l’enigma Stellantis appare ancora più evidente se si confronta la nuova era della fusione che ha portato alla costruzione del quarto gruppo mondiale nell’automotive con l’era della vecchia Fca di Sergio Marchionne. Nel 2017 Fca produceva e vendeva 4,7 milioni di vetture, faceva ricavi per 111 miliardi e produceva utili netti per 3,5 miliardi. E valeva nel portafoglio di Exor il 29% dell’attivo netto della finanziaria. Primo asset assoluto della holding per un valore di oltre 7 miliardi: allora Exor possedeva il 29% di Fca, oggi si è diluita al 15% in Stellantis.
A guardare i numeri freddi da vicino ecco che la grande fusione non ha incrementato il valore per i soci di Exor, famiglia Agnelli in testa con il 55% del capitale della finanziaria olandese. Ora occorrerà vedere se la crisi globale dell’auto (soprattutto europea) assumerà caratteri strutturali o meno.
Di sicuro nessun euro di quei 4 miliardi di liquidità verranno usati per investimenti ulteriori in Stellantis e in genere nell’industria dell’auto. La strada tracciata è altrove come detto: l’allure del lusso, della sanità e del tech sono le nuove sirene di Elkann. Che preferisce sicuramente oltre che investire altrove regalare ricche prebende ai piani alti della filiera familiare. Come il buyback da 1 miliardo appena chiuso di cui ha beneficiato per oltre mezzo miliardo la Giovanni Agnelli Bv, dove convivono gli oltre 100 eredi della casata degli Agnelli. Che evidentemente preferiscono il cash alla gloriosa e centenaria storia della Fiat.
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