Maiali alla riscossa. Parliamo dei Pigs, acronimo che inglobava Portogallo, Italia, Grecia e Spagna e che era stato inventato dalla stampa anglosassone ai tempi dell’ultima crisi finanziaria del 2007 con una evidente nota dispregiativa (Pigs in inglese significa, appunto, “maiali”) per indicare i Paesi che avrebbero potuto tracollare da un momento all’altro, trascinandosi dietro l’Eurozona. Erano i tempi della crisi del debito sovrano greco e anche nei confronti dell’Italia la fiducia degli investitori internazionali era ai minimi termini. Oggi però i Piigs – l’acronimo è stato aggiornato nel 2010 con l’aggiunta dell’Irlanda – non destano più preoccupazione sui mercati finanziari. Anzi, i rendimenti mostrano il contrario e il clima nel mondo degli investitori è davvero cambiato.
Il mercato obbligazionario globale è stato scosso dall’aumento vertiginoso dei tassi miscelato con un sempre più elevato indebitamento pubblico. Ma a mostrare le migliori performance sono stati proprio i titoli di Stato di Italia, Spagna e Grecia, le cenerentole dei tempi del celebre Whatever it takes. Il rimescolamento nei mercati globali del debito li vede adesso vincitori: i “Pigs” piacciono agli investitori perché hanno una crescita economica relativamente migliore, soprattutto grazie al boom turistico post-Covid. Inoltre le enormi emissioni fatte durante la pandemia hanno cambiato la prospettiva sull’affidabilità creditizia complessiva e sulle soglie di debito/Pil. Senza dimenticare che la Germania ha presentato un importante pacchetto di spesa per riarmo e infrastrutture dimostrando che non ci sono più Paesi virtuosi del debito, e dunque i viziosi hanno un minore stigma addosso, e lo spread lo esprime riducendosi ovunque.
I viziosi diventano virtuosi
Nell’Eurozona, Berlino resta il benchmark, il debitore più sicuro agli occhi degli investitori e l’affidabilità creditizia di tutti gli altri Paesi viene valutata rispetto alla Germania attraverso lo spread. Ebbene, quello della Spagna sui titoli a dieci anni è sceso sotto 60 punti base. L’Economist ha scritto di recente che il Paese «dimostra all’Europa come stare al passo dell’economia americana». Il settimanale liberale spiega che la prosperità iberica si basa sulle riforme del sistema finanziario e del mercato del lavoro introdotte dai governi precedenti durante la recessione, che, combinate con i fondi ricevuti dall’Ue, una forte immigrazione, un turismo rinnovato e un aumento delle esportazioni di servizi, stanno dando i loro frutti. Lo spread della Grecia è di circa 70 punti: da peggiore dei Pigs, è diventata un Paese con un rischio molto ridotto per chi compra i titoli del suo debito pubblico. Quanto all’Italia, lo spread viaggia poco sopra quota 90. Barclays ha indicato la possibilità di una discesa del differenziale fino a 70 punti base mentre Goldman Sachs lo scorso 3 giugno ha promosso i nostri Btp vedendo tre ragioni «per essere costruttivi sul debito italiano nel 2025».
Stabilità e conti in ordine
L’attuale livello di spread «è il più ristretto da almeno cinque anni» e questa situazione potrebbe rivelarsi più duratura di quanto prevedono alcuni partecipanti al mercato per tre motivi: sostegno al funding derivante dal Recovery fund, tassi reali che, seppure in aumento, restano di circa 100 punti base sotto la media pre-pandemica e infine un rischio basso di instabilità politica. Il governo Meloni, rileva Goldman, è «l’unico degli ultimi 20 anni ad aver guadagnato in popolarità nei 30 mesi successivi al suo insediamento». Per la banca americana questa condizione si manterrà almeno fino al prossimo anno, data l’assenza di catalizzatori politici rilevanti.
Il saldo fiscale italiano sta migliorando al ritmo più rapido tra i Paesi Emu4 (Germania, Francia, Italia, Spagna), raggiungendo il divario più basso rispetto alla media dell’area euro dal 2016, «e il governo ha ribadito il proprio impegno a mantenere questa tendenza», ricorda Goldman Sachs, che prevede «che il saldo fiscale italiano migliori ulteriormente». Nei giorni scorsi un articolo del Financial Times ha sottolineato che i titoli di Stato italiani, spagnoli e greci sono emersi come gli «improbabili vincitori» davanti alle turbolenze del mercato obbligazionario quest’anno, lanciandosi in un rally che ha ridotto il divario con i bond tedeschi ai minimi da dieci anni.
Lo spread ridotto, è l’opinione del quotidiano della City, riflette anche il rafforzamento dei conti pubblici dei Paesi del sud Europa. Tra i Piigs anche il Portogallo ha la sua rivincita: secondo l’Ocse è uno dei primi cinque Paesi membri per la crescita del reddito disponibile delle famiglie rispetto ai livelli pre-pandemia. Alla base di questo successo ci sono incrementi salariali significativi e una forte domanda interna. Inoltre, si prevede che l’economia crescerà del 2% nel 2025, di gran lunga meglio della media Ue.
La lezione della crisi del debito sovrano è servita e oggi appaiono tutti estremamente virtuosi in termini di gestione dei conti pubblici. Ancora brucia quel “sorrisino” fra la Merkel e Sarkozy sull’affidabilità del nostro Paese. Monsieur Sarkò e frau Angela se la cantarono e se la suonarono da soli, lanciando continui ultimatum ai cosiddetti Piigs dove una delle “i” eravamo noi (ovvero la terza economia dell’Eurozona che non era stata fatta accomodare al tavolo delle trattative). Oggi è Berlino a dover allargare i cordini della borsa e la Francia a mostrare il fiato corto.
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