Il dollaro si conferma debole a ridosso dei livelli più bassi dal 2022. Il Dollar Index, che tiene traccia della forza del dollaro rispetto a un paniere delle sei valute principali, è sceso fino a toccare livelli che non si vedevano da oltre tre anni, fino a 96,8. Gli operatori di mercato cercano di capire che impatti avrà il Big Beautiful Bill, il disegno di spesa del presidente Donald Trump e si attendono i dati dell’occupazione negli Usa di giugno.
Continua il pressing di Trump per tassi Fed più bassi
L’andamento del dollaro risente dell’instabilità negli Stati Uniti e delle attese crescenti di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve, che rende nervosi gli investitori. Alla conferenza della Banca Centrale Europea a Sintra, il presidente della Fed Jerome Powell ha confermato un approccio prudente, ma non ha escluso una riduzione dei tassi già nella prossima riunione.
“Se non ci fossero stati i dazi di Trump, avremmo già tagliato di nuovo i tassi”, ha detto il leader della Fed al Forum Bce di Sintra, rispondendo indirettamente alle critiche di Trump sul mancato taglio del costo del denaro. Il mandato di Powell scade a maggio 2026 e il mercato già guarda ai suoi possibili successori scelti da Trump e che si profila saranno più dovish sui tassi.
I continui attacchi di Trump per convincere il presidente della Fed, Jerome Powell, a tagliare i tassi, hanno messo l’indipendenza della Fed sotto i riflettori. Inoltre, come detto, il mercato si aspetta che il successore di Powell acceleri il percorso di allentamento monetario. A inizio settimana Trump ha inviato a Powell un elenco dei tassi chiave delle banche centrali mondiali, corredato di commenti scritti a mano, affermando che il tasso degli Stati Uniti dovrebbe essere compreso tra lo 0,5% del Giappone e l’1,75% della Danimarca.
“Il deprezzamento del dollaro rispetto alle principali valute è stato in parte il frutto di un deterioramento relativo delle condizioni macroeconomiche statunitensi rispetto a quelle, ad esempio, europee, ma è stato anche una conseguenza della progressiva perdita di credibilità dell’amministrazione Usa, per via delle politiche negoziali aggressive e imprevedibili del presidente Trump sul tema dei dazi quest’anno”, commenta Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte. “Il cambio Euro-Dollaro potrebbe spingersi fino ad area 1,20/1,2175 per fine anno, emulando quanto accadde nel 2017, sebbene in forma più accelerata”, aggiunge.
Questo dipenderà anche dalla conclusione dei negoziati tra Europa e Stati Uniti sui dazi – la pausa concordata da Bruxelles e Washington scade il 9 luglio e Trump, come riportato da Bloomberg non ha intenzione di prorogarla – e dalle attese su un taglio dei tassi da parte della Fed. “Questo secondo elemento potrebbe aumentare in vista sia della proposta di nomina del successore di Powell, il cui mandato scade a maggio 2026, sia del progressivo impatto dei dazi sulla crescita e sui prezzi” sottolinea .
Paradossalmente, mentre l’euro si rafforza, le prospettive economiche dell’Eurozona peggiorano. Il vicepresidente della BCE Luis de Guindos ha previsto per il 2025 una crescita sotto l’1% e un rallentamento già dal secondo trimestre.
“Se l’euro si sta rafforzando, non è solo questione di Fed, BCE o differenziali di crescita. È anche un riflesso del graduale processo di erosione del dominio del dollaro” spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro.
“Dai dati dell’Atlantic Council, si osserva che la quota del biglietto verde nelle riserve globali è scesa sotto il 57%, e in molti indicatori, dai pagamenti cross-border alla composizione del debito sovrano, si registrano segnali di de-dollarizzazione selettiva. Non è un caso che la forza dell’euro oggi coesista con una debolezza implicita del dollaro. Più che un cambio forte, l’EUR/USD riflette una perdita di egemonia sistemica: il centro si sposta, i flussi si diversificano, le riserve si riposizionano” conclude.
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