Il bicchiere è mezzo pieno, soprattutto per l’Italia. Le tendenze, del resto, parlano chiaro: il nostro Paese si sta affermando sempre più come la nuova frontiera degli investimenti in vini di pregio, dando del filo da torcere ai blasonatissimi colossi francesi. C’è da brindare. A livello globale, infatti, il mercato dei fine wines muove oltre 20 miliardi di dollari, con una crescita media annua stimata tra il 7 e il 10% e con un valore detenuto dai collezionisti che sfiora i 140 miliardi. Pur a fronte di una fisiologica flessione dopo le ebbrezze del periodo pandemico (caratterizzato da un forte ritorno agli asset rifugio), oggi il mondo delle bottiglie di alta gamma continua ad attirare appassionati e intenditori, soprattutto in un’ottica di diversificazione del portafoglio.
I grandi vini, infatti, posseggono alcune peculiarità che li rendono adatti all’investimento. «Innanzitutto garantiscono un rendimento annuo costante e non sono soggetti a imposte sul ricavo da vendita, dunque la plusvalenza è netta. Inoltre, non soffrono delle oscillazioni dei mercati tradizionali e sono un bene tangibile con un valore intrinseco, fattori che danno una protezione a livello di prezzo», spiega a Moneta Edoardo Lamacchia, ceo e fondatore di eWibe, piattaforma online che gestisce la compravendita dei vini da collezione secondo il modello del trading finanziario.
A trainare gli affari è la classica dinamica della domanda molto alta a fronte di una disponibilità limitata e di assoluta qualità. Altrettanto fondamentale è lo stato di conservazione delle bottiglie: «Deve essere perfetto, altrimenti non c’è valorizzazione dell’asset». Solo un vino in condizioni ottimali può infatti crescere di valore e rientrare appieno nella categoria dei beni rifugio. Proprio per questo, negli ultimi anni si sono diffusi diversi servizi di custodia professionale per vini da investimento. Addio alla tradizionale cantina: meglio il caveau. «A influire sulle quotazioni – racconta ancora Lamacchia – è anche la provenienza. Italia e Francia, da sole, coprono oltre il 90% del mercato. Altri poli importanti sono la Spagna, il Cile, l’Argentina, l’Australia».
Il nostro Paese, in particolare, sta attraversando una fase di espansione: nell’ultimo anno, sulla scia di un già ottimo 2023, i migliori vini tricolori si sono affermati come leader nel mercato dei fine wines, superando anche le bottiglie d’oltralpe. «Bordeaux sta affrontando una crisi profonda, mentre l’Italia emerge come protagonista mondiale», testimonia il fondatore di eWibe. «La Toscana – sottolinea – nel 2024 ha visto aumentare il valore commerciale delle sue punte di diamante, grazie a etichette come Sassicaia, Tignanello, Pergole Torte e ai migliori Brunello di Montalcino, forti di annate eccellenti quali 2021 e 2019. Il Piemonte viene sempre più accostato alla Borgogna con il Monfortino di Conterno e con grandi classici quali Bruno Giacosa, Bartolo Mascarello e Gaja». Alcune annate possono valere migliaia di euro: nel 2022 una bottiglia di Sassicaia Tenuta San Guido del 1985 è stata venduta all’asta per 9.200 euro e nel marzo scorso tre bottiglie di Barolo Monfortino Riserva Giacomo Conterno del 2010 sono passate di mano per 4.700 euro.
Non è poi un caso che a guidare la classifica delle migliori performance di settore degli ultimi dodici mesi siano il Barbaresco Sorì San Lorenzo 2013 di Gaja, il cui prezzo è salito da 406 a 546 euro (+34,5%), e il toscano Le Pergole Torte Montevertine 2015, cresciuto di quasi il 30% (ora vale 408 euro). Nella top dieci anche il Sangiovese Case Basse Soldera 2009, che vale 1.138 euro (+20,58%), e le bollicine francesi dell’R.D. Bollinger 2000, salite del 17,7%: una bottiglia si aggira attorno ai 400 euro. Incremento a doppia cifra, del 16%, anche per il Barolo Bussia 2019 di Giuseppe Rinaldi, oggi valutato 557 euro.
In un periodo di incertezze sui mercati finanziari, il vino torna così a scorrere tra i “passion asset”, sfidando anche l’incognita dei dazi. «Se rimarranno entro il 20% – commenta Lamacchia – gli effetti non saranno disastrosi sull’alta gamma, considerando che il mercato Usa parte già da prezzi più elevati e ha una capacità di spesa superiore. Inoltre, quando gli investimenti incontrano la componente emozionale, l’Italia rimane molto competitiva». Cin cin, alla nostra.
© Riproduzione riservata